Essere meno “visibili” può essere una strategia di marketing?

Essere meno “visibili” può essere una strategia di marketing?

Photo by Oscar Keys on Unsplash

 

In un mondo che sembra premiare solo chi corre, chi si mette in mostra, chi fa di tutto per apparire perde – per assurdo – già in partenza. La droga del periodo si chiama “visibilità”, e ha due aree ben definite: essere presenti “ai primi posti su Google” e avere “tanti Like”. Molti, tanti sono disposti a tutto, pur di guadagnare questi benedetti “Momenti di Gloria”, senza capire che non ci portano a nulla. Essere “popolari” è una strategia che sembra poter impattare sulla nostra vita, ma in realtà questo vale solo se i numeri sono altissimi, e per riuscirci bisogna dare in “pasto” al mondo contenuti e valori che siano universali. Non ci piace essere “snob”, non lo siamo, e quindi evitiamo commenti che per esempio portano a dire che tutto quello che è “popolare” è poco raffinato, volgarotto, banale. Settimana scorsa abbiamo scritto che le grandi critiche nei confronti della volgarità sui social non sono una novità, basta guardare le pubblicità che venivano proposte negli anni ’50, per scoprire che eravamo “brutte persone” ieri come lo siamo oggi.

Il pensiero che vorremmo condividere con voi è invece questo: in un periodo in cui “essere alternativi” è cool (gli hipster sono ancora tra noi…), è proprio in questo approccio “diverso” che crea grande orgoglio in un target spesso disposto a pagare di più (anche tantissimo) per dimostrare con i fatti di essere “diversi e quindi migliori”, tutti sembrano volere inseguire una massa che invece segue solo le mode “mainstream”. E più si va avanti, e più questa incoerenza si amplia, oggi ci sono gli yucci,e un neologismo coniato da David Infante su “Mashable” (uno dei siti di riferimento che parla del mondo e delle tendenze digitali, tecniche e culturali) per indicare i Young Urban Creative, da cui l’acronimo, ossia giovani creativi metropolitani. Quindi: i soldi, la sensibilità, le attenzioni della fascia di mercato più disposta ad investire in prodotti di qualità esclusiva va da un lato, e tutti coloro che cercano di usare “le strategie del marketing digitale” vanno esattamente dall’altra.

Quasi tutti fanno fede sulla massima, molto divertente, che vaga in rete e che dice:

Se nascondi un cadavere nella terza pagina dei risultati di Google, nessuno lo troverà mai.

quindi si corre ai ripari, si cercano trucchi e in giri di gente che racconta come “arrivare in alto su Google” ce ne sono tanti, e no… non funzionano; non funzionano se non si lavora accettando che questo sforzo richiede un investimento di tempo elevato, una strategia ben chiara, spesso investimenti pubblicitari e di consulenza che non sono quasi mai alla portata di un “piccolo”, specialmente se si desidera scalare delle keyword molto cercate e popolari. Ovviamente si può (e si deve) usare logica, raffinatezza, analisi, bisogna studiare a fondo la propria strategia di posizionamento, e lavorare su nicchie di mercato: questo sì che è utile. Al tempo stesso, guardate qui: questo studio dice che il 90% delle persone guarda attentamente anche la seconda pagina delle ricerche di Google, e sono in tanti a scommettere che proprio chi cerca qualcosa di davvero prezioso snobba le prime pagine delle ricerche e va a sbizzarrirsi nelle retrovie. Senza considerare che molte delle cose che si “cercano” non sono poi così delle “ricerche oggettive”, come scriveremo qui: il marketing si costruisce su elementi ben diversi, rispetto all’oggettività.

L’atteggiamento sui social è altrettanto bizzarro: si cercano like e segnali positivi da parte degli “amici”, e non si fa altro che generare contenuti che sono “graditi”, che hanno una patina di falsità, di “buonismo”, cerchiamo di apparire migliori di quello che siamo, e quindi ci teniamo per noi considerazioni che potrebbero risultare non “popolari”. Quindi si dice che si amano i Massive Attack e poi si omette che si sta cantando a squarciagola Bon Appétit di Katy Perry che in un mese dalla sua pubblicazione ha ottenuto 186 milioni di visualizzazioni su YouTube. La falsità si nota, e anche le strategie che usano in modalità scientifica la “polemica” a volte creano qualche reazione, ma non portano a risultati concreti (quelli che si contano in banca, con la crescita del proprio conto).

Il fenomeno della dipendenza dai “Like” è stato meraviglioso raccontato nell’episodio Nosedive di Black Mirror, dove la protagonista, Lacie (interpretata dall’attrice Bryce Dallas Howard) è ossessionata dal “rating” dato dalle persone su una ipotetica versione molto rosa di Facebook, e dove si racconta di una società – molto vicina alla nostra realtà quotidiana – in cui anche l’accesso al credito, l’ingresso ai locali e le stesse relazioni di amicizia ed amore sono legate a parametri che si misurano in “stelline” (da 0 a 5). Se non lo avete visto, fatelo: vi farà ragionare e pensare ben più di quanto non possiamo fare noi, con queste parole (qui sotto un trailer).

Il successo non si misura in unità, numeri, posizionamenti sui motori di ricerca. La reputazione on line è importantissima, ma non è quantitativa, a meno che non sia priorità come strategia puntare sulla massa dei grandi numeri. Fermatevi a riflettere: avete bisogno di milioni di clienti, o ve ne bastano una ventina, una cinquantina, un centinaio? E allora perché cercate risposte (che non trovate) in meccanismi che portano frutti solo se si hanno milioni di contatti e di risposte? Aiutarvi a capire come posizionarsi, come orientare il proprio marketing, sapere come usare correttamente strumenti e come investire tempo e soldi per ottenere quello che davvero desiderate è il nostro impegno. Ne parleremo, con grande e serio approfondimento il 5 luglio, nel nostro Jumper Camp per rispondere – tra le altre cose – ai quesiti che ponevamo qui (dicevamo che fare i fotografi è un mestiere per ricchi). E’ una questione seria, sulla quale gira il futuro del nostro settore, attaccato da tutte le parti e sempre più fragile, inconsistente. Se volete condividere con noi studi, analisi, avere consigli, orientamenti, capire come autopromuoversi, come realizzare il vostro portfolio, avere persino un supporto (anche dopo il corso: abbiamo previsto – ma sono ancora pochi i posti disponibili – un supporto gratuito per verificare se quanto imparato e approfondito al corso poi sarà funzionale o se richiede un “aggiustamento”), non perdete tempo: iscriviti subito, domani potrebbe essere troppo tardi.

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