Fotografie: l’attribuzione di autenticità è un bene… o un male?

Fotografie: l’attribuzione di autenticità è un bene… o un male?

La tecnologia digitale, apparentemente, verrà sempre più incontro alla difesa dei contenuti/immagini degli autori, in primis per i fotografi.

La storia non è nuova, qualcuno si ricorderà che anche tanti anni fa Photoshop ha tentato una strada di “marchiatura” delle immagini chiamata Digimarc, che oggettivamente ha influito con un valore molto (molto) limitato nel panorama mondiale della protezione del diritto d’autore: c’è ancora un plug in, scaricabile da qui, che non viene aggiornato dal 2017 anche se viene comunque certificato anche per l’ultima versione 2021 e diciamo che una volta il sistema Digimarc era embeddato nell’installazione standard e ora è solo uno strumento “a richiesta”. Anche altre aziende, per esempio Canon, con il suo Canon OSK-E3 Original Data Security Kit 1907B001 B&H Photo Video ha cercato una strada simile, tool che poi è stato anche apparentemente “crackato”. La protezione delle immagini non è riuscita a trovare una tecnologia efficace e specialmente fluida, ci ha provato Kodak usando la tecnologia  blockchain (una buona idea, perché la blockchain propone questa logica di “proprietà trasparente” indicando tutte le operazioni di transazione e di cessione della proprietà, visibile a tutti e non modificabile dall’esterno). Peccato che in tutto questo, il progetto KodakOne è stato abbandonato da Kodak che si è di recente focalizzata sul farmaceutico e il progetto è stato tenuto e portato avanti dalla società di Berlino che l’ha sviluppato, chiamata Ryde Holding Inc. (Reward Your ideas), mantendendo il nome KodakOne in licenza. E’ chiaro, dalla comunicazione e dal marketing che si tratta di una soluzione non di larga scala, se siete interessati, c’è modo di prenotare una call privata con il team, non c’è – almeno al momento – in pratica un sistema di abbonamento al mese, una licenza standard da acquistare, una evidente apertura ad un pubblico allargato (ma non è detto che non ci siano spazi di sviluppo, siamo sicuri che si tratta di una idea interessante, ne avevamo parlato qui, quando era stata annunciata, nel 2018).

Oggi, però, ci sono delle novità. O meglio: le prime avvisaglie sono arrivate nel 2019, durante Adobe Max, dove Adobe aveva iniziato a parlare della sua partecipazione all’interno di una organizzazione chiamata Content Authenticity Initiative (CAI) che vede la collaborazione del New York Times, BBC, Twitter ed altri. Qualche giorno fa, sempre sul palco (in questo caso virtuale) di Adobe Max è stato mostrato il primo step concreto. I nuovi annunci prevedono – anche se per pochi utenti, che potranno testarlo tra qualche settimana – di poter usare una funzione all’interno di Photoshop e anche all’interno del portale/social di promozione dei creativi Behance, anch’esso di proprietà di Adobe. A questa pagina del blog di Adobe viene spiegato il metodo operativo, e la filosofia, ma prima di gridare al “miracolo” osservando il fenomeno della “pirateria dell’immagine”, a vantaggio dello scovare “chi mi ruba le immagini”, va osservato in profondità che la visione è sostanzialmente di altro tipo: non un poliziotto che punisce i “ladri di immagini”, bensì il tutelare l’autenticità delle immagini. I due video che mostriamo anche in questo articolo – quello dell’approccio e quello, più pratico, dell’uso della soluzione all’interno di Photoshop e di Behance –  sono abbastanza esplicativi.

Uso della tecnologia della Content Authenticity Initiative in Photoshop e su Behance.

 

Oggi in gioco c’è molto di più della pur importante tutela del diritto d’autore, che come tale porta a concetti di etica e specialmente di riconoscimento economico del lavoro che si svolge, ma dell’autenticità di quello che oggi ci viene proposto come “verità”. Non è un caso che in questa iniziativa ci siano tre dei principali players dell’informazione, i già citati NYT (che ne parlava qui, al momento dell’annuncio), BBC e Twitter, il social più usato dal mondo dell’informazione. Il CAI dichiara:

Siamo designer, ingegneri, ricercatori, giornalisti e leader che cercano di affrontare l’autenticità dei contenuti su larga scala. Stiamo lavorando per stabilire standard con la partecipazione intersettoriale, incentrati su un approccio aperto ed estensibile per fornire trasparenza dei media che consenta una migliore valutazione dei contenuti.

E la missione dell’iniziativa è questa:

increase trust and transparency online (incrementare la fiducia e la trasparenza online)

Per assurdo, più che “proteggere alla vecchia maniera”, alla “SIAE”, tanto per intenderci, dove la © definisce l’impossibilità di uso al contenuto creativo, in assoluto e senza indulgenze, l’iniziativa della CAI, di Adobe e dei Partners di questo progetto è finalizzato alla verità e alla trasparenza online, prevede l’ovvio, ovvero che le immagini vengono e verranno propagate online, condivise, ripubblicate, viaggeranno da un punto all’altro del “globo digitale” e nel loro percorso potrebbero essere (saranno) modificate, per essere rafforzate, ma anche alterate, nel loro valore non solo estetico, ma anche in relazione alla loro veridicità. Ormai non sappiamo se i nostri occhi “vedono” la realtà, oppure una finzione che è stata costruita per influenzare le nostre opinioni, la nostra visione del mondo, le nostre scelte (sociali, politiche, economiche). C’è in ballo molto più che una violazione del copyright, c’è il potersi attaccare a qualcosa di tangibile per distinguere realtà da manipolazione, riuscendo a estrarre gli elementi/ingredienti di partenza, e poterli confrontare con il risultato che ci viene propinato e proposto.

Va detto che, con l’acquisto di Fotolia nel 2014, diventata poi Adobe Stock ed integrata all’interno dei software della Creative Cloud, l’azienda di Photoshop ha la forza e il potere di includere questi sistemi all’interno di una delle librerie di immagini più grandi al mondo e siamo pronti a scommettere che altri (Shutterstock, Getty, eccetera) staranno valutando se “marchiare” le loro immagini all’interno di questa piattaforma di collaborazione all’insegna della “autenticità del contenuto”; questo vuol dire che nel giro di pochi mesi/anni sarà possibile che un numero immenso di immagini avrà un proprio “passaporto identificativo”, riconoscibile e identificabile in modo chiaro anche all’interno di immagini manipolate e pubblicate online. E gli altri social, che faranno? Forse nell’ottica delle pesanti accuse che vengono fatte ai grandi, Facebook e consociate e Google, che diventano il territorio della disinformazione e della manipolazione, possono decidere di sposare questa strada, e a quel punto davvero ci potrebbe essere un cambiamento epocale nella cultura e nella capacità di valutare “reale” da “manipolato”. Questa pressione sui social, in particolare su Facebook, inizia ad essere davvero (e fortunatamente) evidente e non può essere più presa alla leggera, tra gli esempi quali The Social Dilemma, il documentario di successo su Netflix, oppure il tweet di Carole Cadwalladr, la giornalista che ha svelato lo scandalo Cambridge Analytica, che mostra le prove della partnership da questa società e Donald Trump per condizionare le elezioni di quattro anni fa.

Nell’era del DeepFake, non sarà certo questa la soluzione definitiva, ma è un ottimo punto di partenza, e il ruolo dei produttori dell’immagine sarà quella di fare la propria parte, ovvero di “registrare” tutte le loro immagini attribuendone l’origine. Ancora una volta, questa soluzione che smargina ma non si focalizza sul diritto d’autore, deve essere compresa: la manipolazione, oltre ad essere portatrice di “falsità” per interessi anche dolosi, svelerà i trucchi dei prestigiatori, e sarà un brutto colpo per molti: dagli autori di sogni che vedranno “smontati” i loro trucchi visivi, e soggetti che vedranno svelate le immagini in origine, rughe, eliminazione di curve eccessive, eccetera. Andremo verso un ritorno alla “verità”? All’accettazione di quello che siamo e meno a come vogliamo “apparire”? Difficile crederlo, e questo porta a dire che il futuro ci apre orizzonti di sincerità, non è detto che siamo tutti disponibili ad accettarne le conseguenze.

Il mondo è complesso, proprio per questo è affascinante.

 

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