Fotografia, il grande malato e le cure farmaceutiche

Fotografia, il grande malato e le cure farmaceutiche

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Malgrado la sostanziale “uscita” di Kodak dal mondo della fotografia con la cessione di moltissimi degli assets alla cinese Sino Promise Group, questo brand continua ad essere un riferimento per analizzare lo scenario del futuro della fotografia stessa; uno strano destino, un po’ come “l’Africa che ti rimane dentro” quando la visiti. Per dovere di cronaca, il settore più popolare della fotografia di Kodak, le pellicole, che pur dovevano entrare anch’esse in questo accordo di cessione, è ancora rimasto tra le mani di Kodak stessa, che le ha per ora accantonate nella divisione Kodak Moments, quella dei chioschi digitali, in attesa di un altro acquirente.

Spesso abbiamo parlato degli errori di Kodak, chissà se inevitabili, chissà se derivati da una cattiva gestione dei suo CEO (ho avuto “l’onore” di incontrare di persona almeno un paio di questi mega presidenti di Kodak nel passato, e sinceramente non mi hanno dato una grande sensazione di visione lungimirante, ma ovviamente chi siamo noi per fare queste valutazioni, se non trasmettere inutili sensazioni “a pelle”); sta di fatto che gli “apparenti errori” commessi sono molto correlati a quelli che sono stati commessi dalle aziende e dai professionisti della fotografia negli anni seguenti, e ne abbiamo parlato spesso anche in questo spazio; per riassumerli, possiamo citare la paura di affrontare l’innovazione anche quando “il futuro” sembra essere il “nemico” del business che ci sta facendo vivere l’attività nel presente, una continua incertezza che porta a scegliere una strada, per poi abbandonarla, per poi tornare nuovamente indietro sui propri passi, il credere di essere inattaccabili e quindi di non cercare mezzi per rafforzarsi, il non guardare a quello che il mercato e gli utenti chiedono, cercando di convincerli a scegliere quello che “fa comodo” alle politiche aziendali. Qualcuno intravede in questi “errori” similitudini con gli approcci che abbiamo visto e subito in tutto il nostro settore (lontano e vicino?).

C’è un bel video di 8 minuti che ripropone questo percorso storico di Kodak, realizzato dal Wall Street Journal, in inglese, ma accessibile a tutti, senza difficoltà, ci sono tante figure ;-), ma il motivo che ha portato questo importante giornale a trattare della “vecchia signora” è perché da fine luglio di quest’anno sono state molte le notizie sulle evoluzioni di questa azienda: esattamente il 28 luglio, Donald Trump ha dichiarato con grande baldanza, di avere concesso un prestito di 765 milioni di dollari a Kodak per la sua conversione ad azienda farmaceutica, nell’ottica del programma Defense Production Act, nato per promuovere (supportare, sponsorizzare… scegliete voi il termine preferito) quelle attività considerate indispensabili per la produzione statunitense. Non si tratta di un “regalo”, ma di un prestito che dovrà essere restituito entro 25 anni. Questa azione ha fatto schizzare di oltre il 200% le azioni di Kodak, anche se l’argomento della valorizzazione in borsa ha anche portato delle conseguenze negative, o quantomeno delle investigazioni: sembra infatti che giorni prima dell’annuncio ufficiale del 28 luglio ci siano stati dei movimenti di acquisto di azioni che avevano fatto crescere il valore del 25%, senza alcun motivo plausibile o apparente, se non la possibile/ipotizzabile (ma tutto da verificare) fuga di notizie; sta di fatto che questo nervosismo di cui si occuperanno ovviamente gli avvocati e i fori competenti, ha fatto scivolare nei giorni successivi le azioni ad un più mite valore, sebbene comunque sempre più alto rispetto alla situazione catatonica precedente.

Perché questa fuga verso il medicale di Kodak può essere utile per il nostro settore?

Sembra, ed è, che Kodak sia oggi più che mai lontana da tutti noi… eppure questo pensiero, questo dubbio, questa domanda è rimasta ancorata nella mente di chi scrive e che da quasi tre decenni cerca di decodificare gli elementi dell’innovazione e dell’economia di questo settore, come un tarlo che richiedeva attenzione, quella sensazione famosa dell’esigenza di connessione dei “puntini” che permette di avere una visione più limpida degli ingredienti/indizi delle storie che si sviluppano. Vi elenchiamo questi puntini, che forse possono aiutare in questa impresa.

1) L’operazione “salva Kodak” ovviamente rientra nella grande strategia portata avanti dal presidente Donald Trump che è vicinissimo alle elezioni del prossimo 3 novembre. Il senso è: portiamo valore alle aziende americane per combattere la “guerra” contro la Cina: per esempio, dipendere meno dall’economia cinese per la produzione di medicinali importanti come l’idrossiclorochina (anti malarico), ma ovviamente a prescindere dall’utilità pratica di un flusso di produzione più “vicina”, c’è il messaggio del “rafforzare l’industria americana”, dare “lavoro agli americani”, “pensare a noi, prima di tutto”. Ovvio che questa propaganda fortemente populista, che funziona molto bene specialmente sui social, ha facili connessioni con la situazione politico-economica che viviamo anche qui in Italia, dove i toni del dialogo non sono poi così distanti. Beninteso, rafforzare l’economia nazionale è una scelta quasi sempre giusta e positiva, bisogna vedere se un “prestito” così elevato poi potrà essere coperto, e la sensazione che lo spostamento della risposta/giudizio “a tra 25 anni” preserva solo i toni dell’ottimismo per il presente, ed è quello che servirà per influenzare come segnale le votazioni del 3 novembre, e non potrà avere invece un segnale negativo per un eventuale risultato economico che non è stato raggiunto (lo sapremo solo tra 25 anni): se il progetto dovesse fallire, solo nei libri di storia si potrebbe additare l’attuale amministrazione di un possibile errore.

2) L’avvicinamento di Kodak al settore della farmacologia non stupisce: sappiamo bene tutti (crediamo) che l’essenza della storia dell’industria fotografica si è basata sulla chimica e ancora di più sul farmaceutico: le competenze di George Eastman arrivano da quel mondo, ma ovviamente ancor più chiaramente possiamo segnalare Bayer come nome fondamentale nella storia di Agfa, oppure quello di Ciba-Geigy (dal 1996 diventata Novartis) per Ilford: ricordate il Cibachrome? Senza dimenticare che la stessa Kodak, quando cercava soluzioni di diversificazione, aveva acquisito nel 1988 e per 5 miliardi di dollari abbondanti la Sterling Drugs, qui vi riportiamo lo storico annuncio direttamente dalla pagina del New York Times dell’epoca. Per poi rivenderla nel 1994: capite perché qualche dubbio sulla gestione ha qualche fondo di sostanza?. Cosa significa? Che evidentemente, oggi, la situazione è ben diversa rispetto anche all’operazione Kodak-Sterling Drugs, e il perché è crediamo chiaro e davanti agli occhi di tutti: la ricerca farmaceutica, i rischi sanitari portano ad una coscienza e a delle scelte di investimenti che portano verso questa strada. La fotografia, non solo per il suo passato chimico, è vicina alla ricerca scientifica, e ancor più alla divulgazione scientifica, ne sappiamo bene anche noi che siamo co-fondatori del progetto Monnalisa Bytes che si occupa proprio di questo settore. Molte aziende del settore fotografico hanno migrato o ampliato le proprie attività verso il mondo scientifico e forse avrebbe senso capire – con una visione più ampia – che le attività specialistiche daranno più opportunità di quelle “generiche”: oggi la fotografia “generica” è accessibile a tutti, con buona qualità, flessibilità ed economicità, se servono professionisti questi verranno richiesti molto più per attività complesse, scientifiche, che richiedono competenze e attrezzature davvero evolute.

3) L’altro giorno ascoltavo un convegno che trattava l’argomento del brand nell’era della sua evoluzione, e un intervento segnalava quanto oggi – in una era di incertezza – il brand e la marca sono un elemento forte di scelta. Sembra in parte assurdo, perché in un momento di oggettiva e concreta crisi, si può pensare che le marche (che propongono quindi prodotti ad un costo più elevato) possano essere di minore attrazione per i consumatori, che devono fare i conti con meno risorse economiche, e invece proprio l’incertezza e la paura portano un numero significativo di utenti a scegliere la via più “sicura” e “garantita”. Questa indicazione, che non possiamo garantire sia frutto di dati certi (e per “certi” intendiamo prima di tutto la metodologia con cui questi dati sono stati raccolti ed elaborati, perché i dati possono essere manipolati in funzione di tanti elementi e “trucchi” interpretativi), è comunque uno spunto sicuro su cui riflettere: l’operazione Kodak, questo immenso prestito concesso e le eccellenti condizioni di “rientro” probabilmente avrebbero potuto essere rivolte ad altre aziende, ma il nome, storico e iconico del Brand Kodak ha sicuramente aiutato nella scelta, ed anche l’impatto in termini di divulgazione della notizia, e Trump e la sua amministrazione lo sapeva bene e lo ha sfruttato sapientemente. Chiaro che stiamo scrivendo e rivolgendoci a persone/professionisti e aziende che non possono avere, dalla loro, un prestigio di marca così forte, ma è un tema di riflessione che speriamo possa essere utile: in un momento di crisi, i consumatori e la predisposizione all’acquisto di beni e servizi sono legati a delle scelte che anche psicologicamente appaiono più sicure. Il lavoro a cui bisogna dedicare il massimo dello sforzo è quindi quello di creare sinergie magari con realtà più grandi e “forti” di noi, che possano garantire in termini di immagine questo tipo di “comfort zone” nei potenziali clienti, e poi di lavorare con quella che viene definita la “reputazione” che deve essere trasmessa, anche proponendola ad un costo più elevato rispetto alla media. Non si vince apparendo fragili, deboli, economici… se non nelle fasce di mercato così poco monetizzabili che davvero quasi sempre non conviene inseguire.

Siamo arrivati in fondo a questo nostro lungo percorso, un’analisi che come spesso accade, è di tipo economico: oggi il mercato premia chi capisce come si muovono i flussi economici, chi riesce ad anticipare i trend e le predisposizioni all’acquisto, e non è un caso che le aziende di maggiore successo sono quelle che si occupano di creare modelli predittivi (per tradurre in parole semplici: parliamo di Google, di Facebook, di Amazon, che grazie all’analisi massiva dei dati riescono a comprendere cosa è affine al nostro gusto, cosa desideriamo, cosa compreremo). Il nostro compito sarà sempre più questo, e come abbiamo accennato siamo ormai lanciati per essere un riferimento, di formazione e di aggiornamento, in questi campi. Se siete della nostra stessa opinione, ovvero che il futuro e il successo è tra le mani di chi sarà capace di gestire il futuro con visione imprenditoriale e illuminata, allora seguiteci perché siamo vicini ad una svolta ;-)

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