La fotografia del futuro tra i (16) bit del passato

La fotografia del futuro tra i (16) bit del passato

Non è un caso, ma in questo periodo sono di moda i ritorni al passato. Un recupero della storia, un modo per differenziarsi, una valorizzazione dell’imperfezione perché siamo stufi di perfezione. Tutto, ormai, è scontato, non si crea stupore, e quindi nemmeno magia. Che noia, che banale.

La fotografia non è mai stata un’interpretazione fedele della realtà, ma siamo andati oltre: ormai pensiamo che sia reale la falsa realtà che la fotografia ci offre: se fotografo qualcosa, questo sembrerà perfettamente reale e quindi… sarà vero. E questo viene alimentato da una immediata condivisione con il mondo esterno, come una conferma che quello che abbiamo creato – una reale falsa realtà – è realmente “vera”. Un modo per trasformare in realtà qualcosa è creare una “fonte” che qualcuno certifica. Volete far sapere a tutti che siete il più bravo fotografo al mondo? Aprite una nuova pagina su Wikipedia dedicata a voi, e scrivete qualcosa di decisamente credibile e, tra le cose, indicate che siete stati insigniti da qualcuno del premio “migliore fotografo al mondo”. A questo punto, dovete trovare qualcuno disposto a scrivere qualcosa, che va a richiamare questa informazione, questa “realtà” che vi siete inventati voi stessi, e una volta che un blogger, una rivista on line, qualche persona desiderosa di scrivere qualcosa ad effetto che non ha il tempo (nessuno ha tempo) e la voglia (nessuno ha voglia) di verificare l’efficacia e la veridicità della fonte, e il gioco è fatto; basterà tornare – una volta che la “preda” è caduta nella trappola e ha pubblicato – sulla stessa pagina di Wikipedia e aggiungere quel link come fonte… di colpo la realtà (falsa) diventa una realtà “Vera”.

In questo panorama di falsità che viene accettata come verità, l’unica strada per uscire dagli schemi è quella di creare una vera “realtà” alternativa che non ha nulla a che vedere con il tentativo di voler essere considerata una realtà. Abbiamo bisogno – tutti – di fantasia, di alternativa, di viaggiare con la fantasia. Di dire: ok, è tutto finto, ma proprio perché appare non reale, potrebbe contenere valori ben più profondi. Per riuscire a farlo, bisogna distaccarsi dalla realtà apparente, dal contenitore di plastica, dal packaging, dalla superficie. Dobbiamo togliere l’effetto patinato, dobbiamo togliere bit.

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Applaudiamo, sorridendo, ad una nuova app per iPhone chiamata BitCam che permette di “scattare fotografie”, uscita un paio di giorni fa per festeggiare i 20 anni di una società storica, Iconfactory (ha disegnato tra le più belle icone al mondo, e alcuni software ed app interessantissime). C’era bisogno di una nuova app per “scattare foto”? Non ce ne sono già migliaia e migliaia? Questa è interessante perché ci fa tornare indietro ad un mondo fatto di pochi bit, 16 (ora siamo a 64) ma anche meno, per la versione degli scatti “FatBit” (Bit “grassi”), per omaggiare un universo che aveva in MacPaint (sviluppato dal mitico Bill Atkinson per il primo Macintosh, nel 1984 e “disegnato” nell’interfaccia dall’altrettanto mitica Susan Kare) il suo centro. Bellissimo il percorso di presentazione di questa applicazione, a partire dalla pagina Internet di promozione, in puro stile “vintage”, alla definizione delle funzionalità (come “self camera” per usare la fotocamera frontale).

MacpaintWP

L’app ci fa tornare indietro, di 20 e più anni, verso un’ingenuità dell’immagine digitale, distante un universo da quello che viviamo oggi, che vomitiamo sui social network, che usiamo per inventare una realtà che è solo finzione. E’ gratuita, per la sua versione base che “scatta” solo in bianco e nero, ma poi volendo potete potenziarla con un acquisto in app (1.99 euro) per avere anche la versione a colori, che davvero è strabiliante.

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Potreste scoprire un nuovo mondo (o ritrovarlo, se avete qualche capello bianco), dove il contenuto dell’immagine, del messaggio, della comunicazione diventa primario, e non la forma, non quell’approccio di ricerca di una perfezione che si accontenta solo di rimanere in superficie.

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