Faking it: la manipolazione fotografica prima di Photoshop

Faking it: la manipolazione fotografica prima di Photoshop

La manipolazione della fotografia, forse, nasce addirittura prima della fotografia stessa; se noi vogliamo entrare in un percorso tortuoso e filosofico, e attenerci ai fatti storici, sin dal 1840 (ovvero più o meno dalla nascita della fotografia, che è una datazione complessa perché non legata ad un solo “inventore” e ad un fatto ben definito) è stato ben evidente che la “riproduzione della realtà” fosse più un modo di dire per descrivere questa tecnica, che non una verità assoluta. Con un elemento ancora più “potente”: se con la pittura è sempre stato evidente che l’artista poteva e può intervenire con la sua fantasia su ogni singolo dettaglio, creando forme e immagini partendo solo dalla propria fantasia, la fotografia è sempre stata considerata appunto una “riproduzione della realtà” e l’occhio e il cervello l’ha sempre quindi interpretata come una realtà oggettiva.

Negli studi della percezione visiva, è apparso evidente, in definitiva, che abbiniamo la pittura ad una narrazione distaccata dalla verità, e la fotografia invece come una testimonianza: c’è la foto, quindi è vero.

Dagli anni ’70 – quindi ben prima della nascita di Photoshop che è la pietra miliare di questa tendenza, presa proprio come riferimento temporale e spartiacque della storia che raccontiamo tra poco – il digitale ha iniziato a creare “nuove realtà”, ancora più forti proprio perché il filtro dell’occhio le ha sempre, per quanto improbabili e assurde, considerate delle testimonianze della realtà. E, prima, veri e propri artigiani della camera oscura hanno lavorato con complessità davvero pazzesche e cura certosina per unire porzioni di immagini, per eliminare o costruire dettagli, per creare immagini ironiche, ma anche impegnative denunce politiche, sociali, economiche. A questi incredibili inventori di realtà alternative è stata dedicata una mostra al Metropolitan Museum of Art di New York che si può visitare fino al 27 gennaio dal titolo; Faking It: Manipulated Photography Before Photoshop, un percorso che mostriamo in alcune immagini che pubblichiamo, che fanno pensare moltissimo al come potevano essere percepite, tanti anni fa: probabilmente come dei pugni nello stomaco, delle bombe esplosive che potevano creare reazioni anche inaspettate. E, al tempo stesso, è incredibile pensare al lavoro che c’era dietro tutto questo: senza timbro clone, senza bacchetta magica per scontornare, tutto era affidato a pennelli (veri), a vernici per opacizzare porzioni delle pellicole, a sovrapposizioni di maschere ortocromatiche negative e positive messe a perfetto registro… tutte tecniche che poi gli ingegneri e i progettisti dei software hanno recuperato, interpretato, tradotto trasformando così l’artigianato in processi digitali.

Oggi siamo abituati, non solo ad ogni tipo di elaborazione, ma specialmente ad un bombardamento di immagini in ogni angolo. Il numero di immagini che passano davanti ai nostri occhi in una giornata sono probabilmente superiori a quelle dell’intera vita di una persona dello scorso secolo. E se, ancora oggi, abbiamo difficoltà ad accettare che quello che “vediamo” possa non essere “vero”, figuriamoci 100 o 150 anni fa… C’è una grande responsabilità storica, in queste immagini, che non sono semplici “effetti speciali”, e nemmeno sperimentazione creativa: sono forse – meglio di tante altre – l’essenza del potere dell’immagine fotografica, che ha condizionato, e continua a condizionare, la vita dei due ultimi secoli. I fotografi moderni spesso dedicano poca attenzione e rispetto al ruolo che svolgono di narratori e di persone in grado di influenzare la collettività. Questa mostra, queste immagini, ci (ri)portano indietro, ma ci fanno andare anche avanti. Con o senza Photoshop, alla fine per simulare e creare “false realtà” non solo non serve un software, basta la mente umana e la sua capacità di manipolare ogni cosa (prima di tutto, la mente degli altri).

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