Il futuro della fotografia nell’era del 5G

Il futuro della fotografia nell’era del 5G

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Aswin

Una delle innovazioni che abbiamo davanti a noi è quella del 5G, è alle porte, ma sembra che sia solo una questione tecnica. Si sa che sarà veloce… quanto? In teoria, si tratta di una tecnologia che consentirà di trasmettere fino alla velocità di 4.5 gigabytes al secondo, anche se nelle sue prime apparizioni si “fermerà” a valori di circa 1.4 gigabytes. A spanne, comunque, stiamo parlando di velocità al momento circa venti volte superiori a quelle del pur veloce 4G.

Non è necessario correre a comprare il vostro prossimo smartphone dotato di queste caratteristiche, è presto e probabilmente inutile. Per navigare su Spotify, ma anche su YouTube e anche per Netflix tutto questo non serve a nulla, figuriamoci per Facebook. Serviranno ancora un paio di anni per percepire la differenza, e non si tratta di “hardware” e nemmeno di reti, ma di servizi. Abbiamo letto esempi (che sono scritti per stimolare gli “early adopters”, quelli che comprano tutto per primi) che svelano che un intero film ad alta qualità si potrà scaricare in pochi secondi, quando ora servono – se tutto va bene – alcuni minuti, ma sono esempi poco concreti, perché la fruizione dei film può essere fatta (quasi sempre è così) in streaming, non serve attendere il download di tutto il film per iniziare a vederlo… quindi non si tratta certamente di rivoluzione. Ho sentito e letto invece report che mettono in luce quello che si sta discutendo dentro le aziende che si occupano di telefonia: i manager più illuminati stanno dicendo ai loro subalterni che il business di queste compagnie sta cambiando in modo evidente: non più fornitori di connettività, ma di servizi; in pratica, la connettività (e anche i terminali, quindi gli smartphone e altri device) sarà solo quello che si definisce una “commodity”, si darà per scontata e si vorrà possederla per quello che sarà possibile godere come servizio. Bisogna pensare alle porte di accesso, necessarie per entrare e fruire (comprare) i prodotti che questi nuovi “supermercati” offriranno; porte che si vorranno attraversare se saranno appetibili.

Questo meccanismo Amazon lo ha capito tanti anni fa, con il processo di digitalizzazione dei libri con il sistema Kindle. Ha realizzato prima un device e poi un ecosistema (non solo hardware ma anche software per tutte le piattaforme informatiche) per consentire agli utenti di entrare nel loro grande supermercato di libri digitali compatibili solo con quei device e software. In pratica, proponendo l’acquisto di un ebook reader di alta qualità a prezzi molto bassi, ai margini dell’andare in perdita, Amazon ha permesso e permette a milioni di persone di avere la chiave per entrare nel suo negozio esclusivo di libri digitali, facilitando le funzionalità e ottimizzando il processo. Di fatto, il Kindle è stato ed è una commodity sul quale Amazon non guadagna soldi, ma che gli permetteva di generare alti fatturati tramite la vendita dei contenuti (e per anni, Kindle, per esempio non leggeva i PDF, per evitare che potesse “leggere” contenuti esterni al supermercato di Amazon).

Torniamo comunque al 5G: la chiave del successo di questa connettività si baserà su quello che “viaggerà” al suo interno, e questi contenuti/servizi saranno i portatori principali del fatturato futuro delle aziende tecnologiche. Lo dimostra anche Apple che sta spostando il business dai terminali (iPhone) ai servizi, anche perché le evoluzioni tecnologiche percepibili sono ormai più lente e quindi l’obsolescenza degli apparecchi è molto rallentata. Le aziende hanno bisogno di vendere continuamente nuovi prodotti, anche agli stessi utenti, i processi di fidelizzazione e di costante comunicazione (per esempio attraverso i canali social) portano ad un bombardamento continuo che se poi non si “converte” in vendite risulta inutile e ingiustamente impegnativo. Possiamo ipotizzare però che gli utenti possano o vogliano cambiare oggi lo smartphone ogni anno, e ancor più cambiare le proprie tariffe telefoniche (che, anzi, si cambiano per ridurre i costi e non certo per aumentarli)? Assolutamente no, e quindi tutto si sposta sui servizi, sul rubare (facendolo pagare) il tempo degli utenti. Il meccanismo di Netflix e di Spotify è quello vincente, sono però aziende che si occupano “solo” di contenuti e di servizi, che si appoggiano su strumenti tecnologici. In questo gioco vogliono entrare tutti, e serve fantasia e strategia per costruire servizi sempre più efficienti che coinvolgeranno e faranno entrare nel business tante fasce di utenti.

Abbiamo parlato di musica (Spotify e gli altri), di cinema e televisione (Netflix) ma il grande dei servizi deve ancora arrivare, e passa dai giochi in streaming (ci stanno scommettendo Google con Stadia, Apple con Arcadia solo per citare quelli più “attuali” come annunci). In questo caso, gli interessi sono molteplici: i giochi sono tra i “contenuti” più richiesti, per giocare servono piattaforme hardware potenti e questa potenza di calcolo può essere trasferita su server esterni (come nel caso di Stadia) e quindi evitare di acquistare console costose, oppure si può usare lo smartphone che si ha in tasca senza ridurre l’esperienza, e in più lo streaming permette di giocare tra e con tante persone, un divertimento che aumenta quindi il coinvolgimento rispetto ad un gioco “solitario”.

Il 5G per fotografi e “storytellers”

Tutto questo cosa c’entra con i professionisti della comunicazione, dell’immagine, dell’informazione, della fotografia? Tantissimo, perché ancora una volta le occasioni di trovare strade per aprire nuovi mercati si basano sulla capacità di costruire progetti che possano essere fruibili nei momenti e nei modi giusti. Qualche mese fa, il New York Times, nel suo canale Medium di discussione e di condivisione dei progetti editoriali più innovativi che sviluppano nei loro laboratori (i laboratori dell’informazione probabilmente più evoluti al mondo), ha espressamente parlato per esempio di come cambierà o può cambiare il futuro del giornalismo nell’era del 5G, l’articolo lo trovate qui. Parlano espressamente di come si evolveranno i giornali, i lettori, i contenuti, e non a caso parlano di nuovi modi di fare storytelling usando la realtà virtuale e quella “aumentata”, con esempi molto forti e di impatto già sviluppati. Questi nuovi linguaggi richiedono connessioni molto veloci, specialmente per sfruttare le evoluzioni che si stanno proponendo sul mercato della ripresa, un esempio è la nuova Insta 360 Titan, che propone una risoluzione da 11K e che quindi produce contenuti molto “pesanti” che oggi possiamo iniziare a pensare anche usabili in streaming. Le esperienze con i nuovi caschi di Realtà Virtuale nascono anche e soprattutto per fruire contenuti VR di qualità da scaricare dalla rete, e più avremo a disposizione reti veloci, più potremo spingere questa alta qualità che farà la vera differenza perché renderà tutto più “reale”.

Se non riuscite oggi a pensare ad applicazioni per il vostro futuro, sempre sullo stesso canale del NYTimes hanno pubblicato qualche giorno fa qualcosa di ancora più specifico, un articolo che parla del come i fotografi sul campo potranno inviare istantaneamente le immagini alle redazioni con innovazione e anche comodità. Ormai il mondo corre veloce, e vincono le immagini che arrivano prima. Pensate a servizi da costruire per sfruttare queste reti super veloci, avete un anno o due per costruire queste offerte, imparare a strutturarle e a comprenderle. Tutto questo cambia e cambierà sempre di più il mestiere, ma anche i prodotti che si realizzeranno e si venderanno.

La tecnologia non è certamente tutto, ma le porte che si aprono devono essere analizzate, studiate, usate con strategia e con la capacità di vedere oltre e avanti (anche, se possibile, in anticipo). Altrimenti, le uniche strade che rimarranno saranno quelle del cercare di tornare indietro, alla caccia di quel vintage che non necessariamente è il “meglio”, ma è quello che abbiamo imparato a conoscere. Su Netflix è tornato Stranger Things, serie che ripercorre il mood degli anni ’80… ma non tutto può solo guardare indietro, e indietro ci sono anche brutti mostri (proprio come in Stranger Things…).

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