Jumper

Steve non è morto, è solo andato su iCloud…

Ho provato ad evitare, di scriverci. Avrei preferito il silenzio. Il rapporto era – ed è – troppo profondo per commentarlo in pubblico. Il silenzio, carico di sfumature, sarebbe stato meglio, ma non si può andare contro un destino. Il mio destino è quello di parlare, di scrivere, di comunicare sensazioni che si sentono forte, siano questi argomenti di visione professionale o di carica emotiva che arriva dalla sfera più personale. Non confondo lo scritto con una terapia, come spesso capita a chi usa blog o diari per cercare di capire sé stessi; no, si tratta di una missione, un ruolo, un mestiere: scrivo per comunicare agli altri, non a me stesso.

Mercoledi notte è andato via Steve Jobs, e io con questa persona ho – appunto – un rapporto molto profondo. E’ tra le persone che hanno influenzato di più la mia vita, e non lo dico in modo affrettato, e nemmeno con un approccio che tende a mitizzare. Molte tappe della mia vita si sono materializzate “a causa” di Apple, e Steve era la personificazione dell’azienda Apple. Se devo sintetizzarli, per essere più chiaro e concreto, lo faccio:

1) Nel 1988 mi sono avvicinato al Mac guardando altri lavorarci (non avevo ancora il mio, mi bastava il ruolo da spettatore). Non capivo nulla di nulla, ma in particolare non capivo nulla di informatica. Vedendo impaginare una rivista, io accanto solo guardando, ho imparato ad impaginare ma non solo: anche a “fare” riviste. Il mio computer – quello che mi era stato dato in dotazione dal mio editore, per il quale lavoravo “scrivendo testi”, era un PC Dos, di quelli con i monitor verdi e l’applicativo era Wordstar: un oggetto stupido e insulso. Quel Mac – che non aveva ancora hard disk interno – produceva invece pagine complesse, titoli, grafica… ed era affascinante. Posso dirlo: davanti ad un Mac, prima “pilotato” da altri, poi via via controllato da me, ho imparato il mio mestiere, ma prima di tutto l’ho scoperto. Ho scoperto di amare le riviste (a casa mia ce ne erano sempre tantissime, al sabato si andava in edicola e io pur comprendendo poco, le ho sentite mie), e ho scoperto che volevo realizzarne di bellissime. Senza questo incontro, forse sarei da qualche altra parte, forse il mio mestiere sarebbe stato un altro.

2) Le prime esperienze legate alla fotografia digitale sono nate su un Mac, unico computer in grado all’epoca di interfacciarsi con il primo dorso digitale al mondo, realizzato da Rollei, che produceva files da decine e decine di Mb che dovevano riversarsi su un computer. Con l’amico Enzo Garletti abbiamo fatto i primi test, bloccando la produzione della casa editrice per un pomeriggio, per poter realizzare un’immagine che per me era un po’ come quella famosa di Niepce. Senza un Mac non sarebbe stato all’epoca possibile lavorare in questo settore, e io avrei forse perso quel “treno” che mi ha “trainato” per tanti anni.

3) Il mio primo contatto con “la rete” è stata con un network chiamato “AppleLink”. Internet, per me, è arrivato dopo. Non capivo nulla, ma è stata un’esplosione nella mia mente. Percepivo la potenza di questa idea di comunità che interagiva, e comunicava. Solo qualche mese sono entrato nel mondo di Internet (era il 1994) entrando in un negozio che rivendeva prodotti Apple (Micronet) e ne sono uscito con una casella di posta elettronica (jump@micronet.it) e l’accesso ad Internet per un anno, alla modica cifra di 250 mila lire.

4) La mia passione per la musica ha incontrato da subito l’iPod. L’ho amato dal primo giorno, ho capito che quella era la dimensione del mio rapporto con la musica, che di colpo i cd, gli album, le musicassette non avevano più senso. Ho dovuto attendere mesi per poter comprare in Italia (lo avrei fatto il primo giorno, fossi stato negli USA) il mio primo brano su iTunes, ho scelto Kate Bush perché era la più meritevole di quell’evento. (Ora, mentre sto scrivendo, sto ascoltando Tori Amos, sono sicuro che Steve gradirebbe…)

5) Da anni volevo un palmare che mi permettesse di essere sempre in contatto con la mia posta elettronica, sono rimasto affascinato dal Blackberry ma non l’ho mai acquistato; mi hanno regalato invece due Palm, uno di questi con scheda Bluetooth per poter interfacciarmi con il cellulare e quindi essere sempre collegato… non hanno mai funzionato a dovere. Qualcuno ci riusciva pure, a far funzionare quegli aggeggi, ma io no, e quando ho tentato di comprarne altri ho dato al negoziante le mie regole: compro quello che vuoi, ma tu mi devi configurare tutto, per farlo funzionare davvero. Di colpo, le certezze diventavano terrore: nessuno sapeva farlo, solo dirlo a parole, e io non volevo parole. Ho dovuto attendere… il primo iPhone. Ho atteso in coda dalle 23 alle 5 di mattina per averlo il primo giorno, e da quel giorno la mia vita è cambiata. Non potrei vivere (sul serio) senza un iPhone. (iPhone, non smartphone…).

6) Ho sognato l’iPad molti anni prima che uscisse, quando è uscito mi ha trascinato in un vortice che è ben lontano dall’essere finito (anzi, è appena cominciato). L’iPad, ancora una volta, ha cambiato la mia vita, letteralmente. La sua forza mi ha reso forte, la comprensione della sua potenzialità mi ha dato nuovi stimoli e nuove realtà. Sono persino diventato docente di meravigliose scuole, per parlare di questa rivoluzione. Ed è una rivoluzione che, ancora una volta, mi porta al punto di partenza: le riviste, che ho scoperto di amare in casa da bambino, che ho scoperto di poter realizzare grazie ad un Mac e che ora sto reinventando grazie all’iPad.

In questo viaggio, diranno in molti, ci sono prodotti Apple, non necessariamente c’è Steve Jobs. Vero, e devo dire che il mio “rapporto” con Steve non è nato con il mio avvicinamento al Mac, ma molto dopo. Non ero un fanatico della prima ora, non conoscevo la storia e i personaggi: conoscevo solo il risultato, un computer che aveva a che fare con il mio modo di vedere e di pensare. Ieri, sul Corriere, un articolo di Beppe Severgnini diceva una cosa perfetta:

Il primo computer è stato un Macintosh SE (1987), solido e cubico: ci ho scritto il primo libro. Gli amici chiedevano «Ma è compatibile?», e io rispondevo: con me di sicuro, con Microsoft non m’importa.

Già, Beppe, era proprio così: era compatibile con noi, di sicuro.

Steve l’ho conosciuto meglio quando è “uscito” da Apple ed ha fondato NeXT. Trovavo affascinanti quei computer neri (la leggenda dice che lui li voleva anche neri dentro, ma non gliel’hanno concesso), anche se non capivo bene la loro piena potenzialità, ma ne sentivo la forza interiore. E sapevo che dietro c’era lui, quello Steve Jobs che aveva “inventato” i Mac che io tanto amavo. Ma lui è entrato davvero nella mia vita quando è tornato in Apple, rivoluzionandola. Il simbolo di questo inizio di “relazione” è stata la campagna “Think Different“, che era la perfetta sintesi del mio modo di vivere e di pensare. Avevo pensato sempre in modo “differente“, avevo amato i Mac sin dal primo giorno e ora ne capivo il motivo: erano diversi come ero diverso anche io. Qualcuno dirà “un’eccellente manovra di marketing”, ma io nel mondo del marketing e della comunicazione ci vivo e capisco quando i messaggi sono profondi e quando invece (quasi sempre) sono solo piccoli trucchi di parole. Quella campagna colpiva al cuore perché partiva dal cuore, il business c’entrava di sicuro, ma non era “solo” quello. E da quel giorno io c’ero e se c’è qualcuno che non mi ha mai deluso, quello è stato Steve Jobs.

Jobs ha trasformato in realtà (e mi ha messo tra le mani) le cose che ho sognato, ne ha sviluppate altre che io non avevo ipotizzato, ma quando sono uscite le ho subito riconosciute. La lucidità nel sapere dove siamo e dove dobbiamo andare è per me un punto fondamentale, e Steve mi ha sempre dimostrato di sapere dove stava andando, anche quando tutti pensavano che fosse sbagliato. Ancora oggi, che su Lion ho qualche incertezza in alcune “gestures” (tipo lo scorrimento verticale che segue il dito, opposto a quello che finora tutti reputavamo “naturale”), ma ho accettato che probabilmente è meglio così, perché so che non è stato fatto “a caso”, che c’è un motivo e magari ancora non l’ho capito pienamente (e, infatti, mi sto già abituando). Steve ha capito che le persone come me non vogliono perdere tempo con lo strumento, ma vogliono usarlo per fare, per inventare, per costruire. La mia libertà, davanti ad un Mac o ad un iPhone o un iPad è quella di potermi immergere, e andare al largo fin quanto voglio.

Steve mi è stato di ispirazione per credere in quello che amo, che voglio ottenere. Mi ha confermato che bisogna realizzare i sogni senza accettare compromessi, lavorando al massimo, credendo al proprio istinto, non lasciando nulla al caso. E’ stato un maestro di vita, mi ha fatto crescere, e io ho ricompensato spesso spendendo più di quello che avrei dovuto in prodotti Apple. Questo non fa di me un idiota, come ha sentenziato Richard Stallman che si è dichiarato contento che Steve “se ne sia andato” (non che sia morto, ha precisato, solo andato via) perché la sua influenza ha generato delle masse di persone meno libere dal punto di vista informatico. No, Mr. Stallman, non mi piace la sua visione di libertà, che non è quella di rispettare che altri possano avere un modo diverso di intendere la libertà, non sono “massa”, non sono stupido perché preferisco soluzioni informatiche che, a suo vedere, mi rendono meno libero, aspiro ad una libertà diversa… e sappia, Mr Stallman, che ho sempre ammirato e promosso il suo pensiero e il suo lavoro, ma trovo che rischia la stupidità chi tende all’estremismo e lei – mi dispiace – lo ha dimostrato in questo caso.

Quello che da mercoledì manca non è solo un punto di riferimento, un personaggio che fa parte della mia vita. La mia preoccupazione, d’ora in avanti, è: dove andrò a trovarle le conferme, chi mi aiuterà a capire meglio i fenomeni che si stanno materializzando davanti a noi? La paura è quella di sempre: cosa avrebbe potuto fare se fosse ancora tra noi? La paura per la mancanza di tempo, che pulsa nella mia testa costantemente, ora è ancora più forte, perché mi sento più debole. Oggi leggevo che negli ultimi anni è nato in Apple un programma di formazione per consentire alle generazioni future dei manager di imparare a pensare come Steve Jobs, a sapere reagire come lo faceva lui, ad inventare e trovare nuove strade come lui. Avrei voluto partecipare, a questi corsi. Non per essere come lui (mai potrei aspirare), ma per cercare conforto in questi momenti, in cui mi sento un po’ perso. Al tempo stesso, il mio lato ottimista porta a dire che qualche lezione l’ho imparata, assorbita, compresa, grazie al contatto continuo con Steve in questa decina di anni. Quindi ce la posso fare, si può andare avanti. Certo che quando va via un amico è dura… Ho trovato in rete una frase che diceva:

Steve Jobs is not dead. He’s working on the cloud.

Ci farò una maglietta… c’è qualcuno che la vuole, così le faccio stampare insieme?

PS: questa è una storia personale. Non so dire se steve ha cambiato il mondo (anche se lo penso) ma di sicuro ha cambiato il “mio” di mondo. Ed è in quest’ottica che va letto, non mi permetto di parlare a nome di tutti :-)