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Linguaggi moderni, linguaggi antichi… alla ricerca di un dialogo

Il 3 dicembre del 1992 è una data storica, l’anno prossimo si festeggiano i vent’anni (oggi ci accontentiamo della diciannovesima candelina) dall’invio del primo SMS al mondo. Riportava la semplice scritta “Merry Christmas”, trasmesso dalla rete inglese di Vodafone. La rivoluzione compiuta in questi 19 anni è tale che è difficile pensare a quello che sarebbe la realtà della comunicazione di oggi se questa tecnologia non fosse nata. Ci sono modi di dire, addirittura di pensare che sono frutto di questo dialogo fatto di pochi caratteri, inviati in tempo reale. Parole, modi di dire, contrazioni che oggi sono al centro del nostro parlare ed esprimerci.

Perché questa notizia, letta rapidamente pochi minuti fa, mi ha convinto a scrivere questo post? Alla fine, sebbene utenti di SMS anche i fotografi, forse non sembrerebbe così affine al nostro mondo, fatto di immagini. Il problema è proprio questo: siamo abituati a parlare di “immagine” e di “linguaggio visivo”, ci arrabbiamo (con ragione) perché nelle scuole si insegna a leggere testi e non immagini, ma siamo altrettanto colpevoli perché troppo raramente riusciamo a focalizzare la nostra attenzione sull’evoluzione dei media e sui metodi di comunicazione che ci impongono e propongono. Gli scrittori (alcuni) si sono preoccupati o quantomeno interessati a trovare forme di scrittura che siano compatibili per esempio con dei device piccoli come dei telefoni, e sono nati dei romanzi divisi in 160 caratteri, il giornalismo (alcuni… mica che sono poi tante le menti funzionanti in questo settore) ha esplorato una modalità di comunicazione efficace e immediata tramite i 140 caratteri di Twitter (Severgnini è un maestro in questo). I fotografi che hanno cercato di trovare un linguaggio comune alla contemporaneità degli strumenti moderni sono pochi. Dove “piccolo” non deve significare “poco”…

Siamo reduci da vari incontri con i fotografi, forse in totale abbiamo superato un migliaio di persone che abbiamo incrociato in questi giorni di tour. E abbiamo le risposte di tantissimi fotografi per il nostro censimento (ti sei ricordato di compilarlo? dai, vai qui, manchi proprio solo tu!), possiamo dire che abbiamo abbastanza il polso della realtà quotidiana di questo mestiere, e possiamo dire che sono troppi i fotografi che non si sono ancora creati il problema del come cambia la comunicazione grazie (o per colpa…) dei nuovi device e dei nuovi metodi di fruizione dell’informazione. In pochi posseggono un iPad (è una domanda che facciamo sempre… e malgrado oggi la semplicità di averlo ad un costo molto basso al mese, compresa la connessione, sono sempre e ancora pochissimi), ma se è vero che quasi tutti hanno in tasca uno smartphone sono proprio pochi quelli che in qualche modo si sono creati il problema di percepire la potenzialità e la specificità dimensionale e funzionale rispetto alla fotografia. Molti oggi propongono “immagini per Facebook“, ma lo vivono come un modo per fingere di essere moderni, o per cercare di stare al passo dei tempi (tempi che tendono a disprezzare). Pochissimi sono iscritti a Twitter e quindi non conoscono il meccanismo di comunicazione in real time, e nemmeno la sua forza.

Tornando agli SMS, in molti prendono in giro il linguaggio dei giovani che pigiano i tasti (o sfiorano gli schermi touch) e che comunicano freneticamente, ma chi deve essere preso in giro è forse chi – esperto a parole di comunicazione – non ha capito come sfruttare questo metodo di comunicazione.

Non ho visto progetti di fotografia che possono essere vissuti come se fossero delle pillole di messaggi simili agli sms. Qualcuno dirà che gli MMS sono sempre stati costosi e poco efficaci, ma tra coloro che rispondono in questo modo (spesso con un tono un po’ “saputello”) non c’è la conoscenza di una funzione che consente di mandare messaggi di testo e immagini gratis usando la connettività dati (BBM su Blackberry da anni, iMessage su iPhone e device iOS 5). Ma questo è solo un esempio: il problema è che si pensa che il “nostro mondo” sia uno, e che “altri mondi” siano fuori dal nostro interesse e dalla nostra realtà. Peccato che sono “le realtà” del mondo esterno, quello che sembra volere tenerci fuori, ma siamo noi che vogliamo rimanerci.

Pensare al futuro richiede occhi aperti, maggiore sensibilità per il nuovo, voglia di annusare cose nuove, e voglia di cambiare, prima di tutto la testa. Ed è faticoso… lo sappiamo, ma fondamentale.

(Fonte Infographic pubblicata: Tatango)