Avvocato, professore al MIT (Massachussets Institute of Technology), papà delle Creative Commons: Lawrence Lessig è uno dei più illuminati intellettuali del nostro tempo, impegnato nella ricerca e nella diffusione di idee e metodi innovativi per la protezione dei contenuti online e per garantire un accesso libero ed indipendente alla Rete internet.
In questi giorni, a supporto (indipendente) della candidatura di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti e a difesa di alcuni condivisibili ed imprescindibili diritti umani, Lessig ha pubblicato nel suo blog vari contenuti che non riguardano soltanto la politica americana, ma che “parlano” anche a noi o potrebbero farlo nell’immediato futuro.
In seguito alla pubblicazione della “technology platform” di John McCain (un documento che enuncia le intenzioni e la strada che il candidato alla presidenza intende intraprendere), Lessig analizza in un video l’andamento della penetrazione della banda larga negli USA durante gli otto anni di mandato di George W. Bush: dalla posizione numero 5, gli Stati Uniti sono andati in caduta libera fino alla 22. Lessig si aspetterebbe una “mission” innovativa, un progetto con la chiara intenzione di ribaltare il trend dell’ultimo decennio, mentre invece non trova, nel documento di McCain, niente di tutto ciò: quello che si legge tra le righe della “platform“, invece, è l’intenzione di supportare economicamente alcune grandi compagnie ISP (Internet Service Provider) e una forte critica alla “net neutrality“.
Questo secondo punto è particolarmente importante perché potrebbe comportare la nascita di un nuovo trend e, di conseguenza, un nuovo standard, non solo negli USA: dobbiamo aspettarci che Internet diventi come un canale televisivo, cioè che i contenuti trasmessi siano decisi, controllati, filtrati, da un proprietario? Oppure Internet continuerà ad essere controllato dall’utente, che sarà attivo nella partecipazione e nella scelta dei contenuti da visionare (cioè continuerà ad esistere la “net neautrality”, una sorta di neutralità – e assenza di controllo diretto – della Rete)?
Net Neutrality significa poter chiamare chiunque, dire qualunque cosa (purché legale), collegare qualunque computer alla rete e poter contare su un regime di concorrenza, per tenere i costi bassi e la qualità alta. Quello che ci sembra ovvio, scontato, condivisibile e un diritto di tutti è venuto a mancare in più occasioni: ci sono provider che hanno bloccato il traffico VOIP (voice over ip) sui propri network, altri che lo hanno fatto con BitTorrent, oppure ancora è successo che i Pearl Jam vedessero il proprio video censurato nel webcast di AT&T del festival Lollapalooza del 2007 perché il testo della canzone conteneva espliciti attacchi all’attuale presidente degli Stati Uniti, George Bush.
La “technology platform” recita esplicitamente “John McCain does not believe in prescriptive regulation like ‘net-neutrality‘” e questo ci porta a chiederci se ciò che Internet è sempre stato (cioè basato sulla network neutrality) è anche ciò che Internet continuerà ad essere in futuro, o se il potere di scelta verrà tolto agli utenti e finirà esclusivamente nelle mani dei proprietari dei network, facendo di Internet una sorta di televisione con un palinsesto predefinito, che noi utenti possiamo soltanto subire, senza alcuna attiva partecipazione.
Un altro contenuto postato recentemente da Lessig che merita attenzione è il suo contributo alla campagna “Free the Airwaves“, devota alla “liberazione” di alcune frequenze per portare ovunque, a chiunque, una connessione wireless. Internet è nato per essere libero… “free”, ma non necessariamente nel senso di “gratuito”. Se gli ISP oggi credono di poter controllare i contenuti veicolati dalle loro connessioni, questa libertà è in pericolo.
Ricreare una libera concorrenza attraverso la “liberazione delle onde” si suppone porterebbe innovazioni e crescita, riduzione del digital divide e ritorno di quel “free Internet” che ha determinato il suo stesso successo.
Lasciando da parte ogni connotazione politica di questa discussione, lo scenario che un documento come quello di McCain suggerisce è preoccupante e una seria minaccia per il mondo della comunicazione, per l’evoluzione dei mercati, la diffusione e l’accesso alla conoscenza, la creazione di nuovi contenuti e le possibilità di interazione tra gli utenti.