Fotografia, dobbiamo farla “strana” (ma dobbiamo venderla bene)

Fotografia, dobbiamo farla “strana” (ma dobbiamo venderla bene)

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La fotografia è a caccia di nuovi linguaggi, che possano differenziarsi dal “comune”. Se dal punto di vista della “fotografia di massa” si spinge sempre più a raggiungere un livello di qualità eccellente, da realizzare in modo semplice e garantendo sempre più soddisfazione in un esercito di miliardi di utenti sparsi in tutto il mondo, con l’entusiasta partecipazione e spinta da parte di chi davvero guadagna da tutto questo: Facebook, Google, Apple con iPhone, Samsung con i suoi smartphone… e pochi altri.

In questi giorni, abbiamo visto un ragazzo cinese arrivare alle finali del concorso fotografico di National Geographic con una foto scattata con un iPhone 6s, un confronto tra una RED e un iPhone 7+ nella realizzazione di un video, e tutto questo non fa che creare confusione. Cosa deve usare un professionista, per distinguersi? Giustamente, il videomaker che ha fatto l’azzardato test comparativo tra la “regina” della ripresa video (50 mila dollari di macchina) e uno smartphone, dice che ovvio che la differenza è evidente, ma alla fine la destinazione/fruizione dei video è una modalità super compressa su YouTube, e allora questa differenza non fa la differenza. E se la differenza non appare così incredibilmente evidente, come si fa a vendere un prodotto che parte da un così diverso investimento di attrezzatura?

La differenza – quella sì che deve essere evidente – sta nella capacità di usarli, gli strumenti, eppure i fotografi e i videomaker parlano solo di tecnica e di macchine, fanno la guerra con le armi spuntate. E’ chiaro che la velocità di sviluppo delle tecnologie “low cost”, che si vendono in centinaia di milioni di pezzi all’anno, che sono tra le mani di miliardi di persone, è nettamente superiore rispetto alle tecnologie di nicchia, e anche i ritorni economici sono ben diversi (e di conseguenza la capacità di investire in ricerca e sviluppo). Ci piacerebbe vedere, per esempio, se negli ultimi anni Sony abbia guadagnato di più dalla sua gamma di fotocamere oppure dalla fornitura di moduli fotografici a tutti i produttori di smartphone, e lo stesso vorremmo sapere circa il ritorno economico dall’uso del logo di Leica nelle campagne di promozione e di marketing di un recente smartphone (per il quale non ha nemmeno prodotto nulla, è solo “ingegnerizzato da Leica”… chissà cosa significa, nella pratica  – le viti sono di Leica?…).

I processi di differenziazione della produzione fotografica si basano su due elementi:

  • Il marketing: saper vendere quello che si produce
  • La diversa resa/estetica e di fruizione del proprio lavoro.

Gli investimenti dei fotografi che vogliono trovare uno spazio crescente sul mercato sono proprio questi due. Si può decidere di investire in attrezzature costose, per essere “diversi”, ma per fare qualcosa che altri non possono fare. Insomma, estremizzare la resa e la potenzialità di quello che si produce. E poi… sapere come venderlo a caro prezzo a chi è davvero interessato a questa resa “esclusiva”.

 

Viceversa, si può decidere di usare strade alternative, come quelle che stanno provando in giro tanti professionisti, come per esempio Mathieu Stern , fotografo francese che ha deciso di realizzare un obiettivo usando la tecnica di stampa 3D, un suo sogno quello di farne uno “tutto suo” e reso possibile dall’unione di varie lenti recuperate (in questo caso il termine “lente” è corretto e non “barbaro”: lenti, e l’unione di tante lenti compone un “obiettivo” e non “una lente”, come ormai si dice, violentando italiano e tecnica fotografica) e una buona competenza di ottica e fisica, perché bisogna fare parecchi calcoli per riuscirci. Il risultato? Una resa diversa dalla “nitidezza standard”, un bel bokeh che può essere personalizzato (ok, l’effetto “papero Bokeh” non è poi un granché…), ma essenzialmente un modo interessante per fare “la differenza”. Oppure il fotografo tedesco Andy Grabo (in realtà il suo nome è: Andreas von Grabowiecki) che propone la stampa cyanotype come proposta creativa e tecnica (qui sotto il video).

Tutto questo è solo un assaggio, che richiede approfondimento ed analisi. Il mondo è pieno di belle foto, tecnicamente corrette (o sufficientemente buone). Quello che serve è creare valore esclusivo, unico, desiderabile. Può essere un’eccellenza tecnica oppure qualcosa che possa avere un sapore di originalità percepibile. Sappiamo che, sulla base di questi esempi (o di quelli che si possono trovare in giro, decine e decine ogni giorno, se si ha la voglia di cercarle), qualcuno penserà di avere trovato la “chiave”, e quindi si metterà a fare foto con dominanti blu, o userà delle fotocamere giocattolo per fare foto “diverse”… e ancora una volta confonderà il “come” con il “perché”. Quello che conta è essere convincenti, sapere come e cosa proporre, addirittura capire quale è il ritmo nel proporre idee nuove, la modalità di presentazione.

 

Settimana prossima mi hanno invitato a parlare di “come si presentano” dei progetti per fare in modo di essere vincenti. La cosa buffa (triste) è che non me lo ha chiesto un gruppo di professionisti che vogliono trovare armi forti per difendere e vendere i propri progetti, ma un gruppo di studenti giovanissimi. Loro hanno capito di averne bisogno, per iniziare nel modo migliore la propria attività professionale (che, inutile dire, si posizionerà sul mercato in alternativa/concorrenza a chi già in questo mercato ci lavora, o ci sta già provando). A gennaio ne parliamo, perché come abbiamo spiegato nel nostro primo corso di marketing (lo avete comprato? il video è disponibile per l’acquisto da QUI), la chiave di tutto è sapere come presentare le (buone) idee. Tutto il resto è solo una chiacchierata, ed è ormai quasi Natale, e si finirà a parlare di panettoni…

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