Etichette: perché dobbiamo evitarle per promuovere il nostro lavoro creativo

Etichette: perché dobbiamo evitarle per promuovere il nostro lavoro creativo

Sunday Jumper

Sono un fotografo. Realizzo immagini. Sono uno storyteller. Sono un artista.

La noia delle definizioni è ormai insopportabile. In mancanza di una evidente conferma dei fatti (vedo quello che fai e capisco cosa fai, e specialmente cosa sei), si usano le etichette. Si vuole far parte non di una massa, ma di una tendenza, possibilmente se alternativa. Hipster per paura di essere uguale agli altri, una volta, negli anni ’80 c’erano i Punk che volevano distinguersi con creste di capelli dai colori improponibili o dai vestiti neri, dai piercing, oggi abbiamo gli snob che hanno meno coraggio: parlano in modo diverso, hanno atteggiamenti diversi, cercano disperatamente di ottenere l’attenzione di tutti con l’effetto mamma, guardami: senza mani. Lo fanno su Facebook (e non si accorgono che lo fanno tutti… quindi non sono originali), lo fanno per aggregare persone che la pensano come loro, anzi: che proprio per questo possono idolatrarli. Il risultato è che parlano, e non mettono in pratica quello che dichiarano perché, certo, le cose sono più facili da dire che da fare.

Una categoria che è poco sopportabile è quella dei fotografi che si considerano veri, bravi e competenti. Che dicono che aborrono le innovazioni perché chi le usa non punta sull’autorialità ma solo sulla tecnica (sempre più “povera”), e dicendo questo si contraddicono (senza accorgersene, e i commenti degli aggregati permettono una crescita dell’ego e dell’autostima e quindi permette loro di pensare di essere nel giusto). Se la decisione di non usare uno strumento o di usarne un altro è per essere autore, si sta dicendo che il mezzo è il contenuto. Che tristezza, che noia. Ma si sa: il bello della condivisione online porta tutti a poter parlare di tutto, ed è comunque un bene. Ci si trova in branco, si cercano comunità che possano permettere di dare un senso a quello che facciamo perché non è detto che il mercato poi ci dia ragione (con crescita economica).

La guerra è quella all’etichetta: se siamo “Autori” non siamo “massa”; se siamo “quelli che venti anni fa facevano le foto, senza Photoshop” vuol dire che siamo migliori di quelli che “oggi usano queste diavolerie prive di cultura”. Se siamo “analogici” e quindi scattiamo solo coi rullini, noi sì che siamo bravi e “sappiamo fare belle foto”. Se non siamo quelli che “scattano foto” ma “raccontano storie” siamo dei menestrelli che fanno arte, mica quello che si fa “in automatico con quelle macchinette da pochi soldi”. Se ci permettiamo di scrivere che “le fotografie attuali sono orribili”, automaticamente pensiamo che siamo al riparo dal farle noi.

La realtà dei fatti – almeno questo è quello che pensiamo – è che il mercato richiede (leggi: compra) varie categorie di prodotto. Ha bisogno (senza ombra di dubbio), anche di fotografie molto tradizionali, e per fare questo non è detto che dobbiamo usare fotocamere a pellicola (NON si vede la differenza, ragazzi: smettiamola di farci illudere dalle apparenze), smettiamola di credere che usare una fotocamera che sembra “vecchia” possa donarci maggiori potenzialità (a meno che non sia per noi una gioia, ma non trasformiamo questo in una etichetta, cercando di formalizzare che se fai una cosa in un modo o in un altro cambia il risultato: non cambia). Se siamo bravi a “raccontare storie”, mostriamo le nostre storie, se dobbiamo spiegare che siamo bravi a farlo, vuol dire che non lo siamo. Se parliamo troppo di noi, vuol dire che vogliamo parlare di noi e non far parlare quello che facciamo.

Diversamente, crediamo che sia utile usare i mezzi che ci servono per raccontare quello che abbiamo in mente. Un giorno potremmo avere bisogno di una soluzione molto tradizionale (non tecnicamente… quello che si “vede” e si “trasmette”), in altri casi serve una sequenza di immagini che si muove con lo spostamento del nostro corpo; in certi casi serve una stampa, in altri un ambiente immersivo nella Realtà Virtuale. Possiamo decidere di essere specialisti, di occuparci di un solo settore, oppure coprire molte esigenze di comunicazione. Nel primo caso bisogna essere eccellenti in uno specifico linguaggio, nel secondo conoscere tante tecniche, magari creando team di collaborazione integrata, e si può essere anche tanto bravi in tanti campi (non è impossibile). Nel primo caso – la specializzazione – bisogna lavorare sul marketing per essere riconosciuti come “eccellenti” in quel campo, perché chi vuole quello specifico prodotto è esigente e sa/conosce la differenza tra prodotto eccellente e dozzinale. Nel secondo caso – la visione allargata – bisogna capire quando usare un ingrediente rispetto ad un altro, o come metterli insieme. Anche in questo bisogna essere bravi, dannatamente bravi.

Queste considerazioni si devono riflettere su quello che sono i nostri mezzi di promozione: siti, social, blog. Ve lo dico: le persone non ne possono più di fotografi che parlano di quanto sono bravi e diversi da tutti, del quanto sono capaci di guardare oltre, di quanto fa loro schifo quello che si fa in giro. Si fa solo la figura dei vecchi sdentati che non hanno davvero nulla da fare. Ovvio, potrei fare nomi, cognomi e indirizzi… ma sarebbe come additare uno o due, magari i già famosi, ma si tratta di un atteggiamento collettivo. Se siamo tra quelle persone che per cultura, per filosofia di vita (o per mancanza di conoscenza: mi dispiace, a volte questo è un motivo delle prese di posizioni e dell’etichettarsi) dobbiamo mostrare cosa sappiamo fare, se ci limitiamo a parlare e a criticare, allora forse non siamo poi così bravi come facciamo finta di essere (o, peggio ancora, che crediamo di essere). Se siamo “innovatori” e poi parliamo di tecnologie e di idee che hanno dieci o venti anni… allora anche in questo caso forse parliamo e non “facciamo”.

Il mercato si muove veloce: ci sono ragazzini che ci stanno bagnando il naso (ne abbiamo parlato qui, ma possiamo anche segnalarvi questo ragazzo che ha collaborato con il New York Times), le tecnologie si stanno semplificando (abbiamo di recente testato varie app per la post produzione di immagini davvero interessanti, un solo click e risultati incredibili), e sono accessibili a chiunque, le fotocamere stanno affrontando delle evoluzioni pazzesche, a tutti i livelli, anche se non mancano delusioni che fanno riflettere sul come stiano guardando al mercato alcuni reparti di ricerca e di marketing. Non importa cosa usiamo (ma perché usiamo uno strumento rispetto ad un altro), non importa quanti anni abbiamo (semmai quanto siamo capaci di interpretare il mondo dell’immagine), non importa quello che diciamo, ma quello che gli altri sono in grado di percepire di noi.

Smettiamo di darci etichette, smettiamo di difenderci con le parole. Facciamo, scopriamo, inventiamo nuove strade, entriamo in nuovi canali per poter vendere quello che oggi magari non riusciamo a vendere più. Domani saranno disponibili i quattro video dei nostri JumperCamp dove abbiamo trattato temi che, secondo noi, dovrebbero essere di interesse per tutti, o per molti; di sicuro per chi non vuole rimanere ancorato ad un passato di cui solo parla, ma che sempre meno utenti/clienti comprano, perché se succede il problema è che forse non sono poi così eccezionali come diciamo (oppure non siamo capaci di venderli… altro tema che torneremo ad affrontare tra breve).

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