Jumper

Quando la terra sotto i nostri piedi trema

Questa notte, domenica 20 maggio, la terra si è mossa. Erano le 4 di mattina, e molti di noi si sono svegliati con l’angoscia e con la chiara sensazione della nostra fragilità, sia come esseri umani che come sicurezze per luoghi e cose. In pochi secondi, purtroppo alcune persone – alle quali va il nostro triste pensiero – sono morte, per la violenza della scossa o per la paura. Il terremoto squarcia le sicurezze, lacera le pietre, distrugge gli animi e le anime. Ieri, sabato 19 maggio, un altro tipo di violenza, questa volta per la vigliacca mano dell’uomo, ha ucciso una ragazzina di 16 anni a Brindisi, e ne ha ferita gravemente un’altra. Erano davanti ad una scuola, per apprendere materie creative ed artistiche, e non ho potuto non pensare che vivo e frequento scuole dove ci sono studenti e studentesse di età simile, anche loro studiano materie creative e artistiche, e vedo in loro la voglia di trovare la loro strada, di crescere, di imparare. E io, nel mio (molto) piccolo, cerco di insegnare loro come far esplodere il loro talento e passione.

Sono due (tante) storie che si intrecciano, e che trovano espressione anche qui, in questo appuntamento settimanale, che cerca di proporre terremoti in tutti noi, modi per non dare per scontato nulla, che usa la chiave dell’allerta per “muoversi”, senza aspettare che la casa ci cada addosso. E che cerca di dare un futuro a chi crede in sé stesso, a chi investe nel futuro, a chi vuole sfidare con coraggio le difficoltà. Ogni giorno dobbiamo viverlo come se fosse l’ultimo, e ogni giorno dobbiamo cercare di trovare la forza per far venire fuori noi stessi, accettando le difficoltà e anche la sofferenza che questa scelta comporta. Quando si è giovani, si deve avere il sacrosanto diritto di costruire il proprio “IO”, senza cadere nell’eccessiva eccentricità (a volte comune, tra i giovani e non solo), ed è per questo che la sofferenza per l’atto di Brindisi mi fa impazzire dalla rabbia, quella ragazza – Melissa – aveva il diritto di costruire la sua vita, e la violenza glielo ha impedito. La terra ha tremato accanto a lei, il fuoco l’ha avvolta, l’impatto di una scarica di odio insensato e malato ha colpito il suo delicato e fragile corpo. Abbiamo perso un potenziale, non solo una persona, non solo una figlia, non solo un’amica. Abbiamo forse perso una stilista geniale, una mente raffinata e illuminata, un valore umano che avrebbe potuto arricchirci, fatto sognare, stupirci. Tutti avrebbero il diritto di dimostrare quello che valgono, cosa possono fare, cosa possono essere e cosa possono dare. Melissa non ha potuto farlo, in questa storia una sola (sembra una sola) persona è riuscita a dimostrare cosa era in grado di fare: dare dolore, annientare, distruggere. Ci auguriamo che nel mondo ci possano essere sempre meno di queste persone, speriamo che le “Melisse” possano essere protette, difese, lasciate libere di crescere.

Per coloro che hanno già “costruito” il proprio IO, la speranza invece è che possano sentire da vicino il pericolo del terremoto: non quello distruttivo che abbatte le case e che sveglia le persone durante la notte in preda alla paura, ma quel movimento che porta ad uscire, a prendere delle decisioni, a capire che non abbiamo tempo da perdere, che la soluzione per il nostro futuro non si trova “fuori”, ma dentro di noi. Per diventare noi stessi, senza seguire modelli imitativi che pur ci condizionano troppo spesso la vita, non dobbiamo ricercare “regole”, che rappresentano barriere che ci impediscono di “fare”, che per approccio fondamentale non ci fanno crescere, la crescita e lo sviluppo lo dobbiamo cercare nell’irrazionale, nella voglia di andare “oltre”, nel coraggio di affrontare percorsi nuovi… i “nostri” percorsi, quelli che vanno a sfiorare la follia che abbiamo dentro, ma la follia positiva, quella che ci porta al sentire, ad annusare, al sognare uno spazio per noi nel mondo.

In giro vedo troppe persone che cercano di adattarsi all’ambiente, e in questo riescono ad essere solo mediocri. Si può eccellere solo se crediamo in quello che facciamo, se riusciamo ad essere quello che davvero siamo, se lottiamo con ogni forza per essere il lato migliore che abbiamo dentro. Non riusciamo a sentirci realmente sereni, se non quando ci sentiamo davvero rappresentati da noi stessi. In queste settimane, sul SundayJumper, abbiamo usato l’arma per spezzare tanti luoghi comuni, e in pochi hanno compreso quale era questa “strategia”: quella di uscire dalle “sicurezze”, in un istante il mondo attorno a noi può cambiare, e dobbiamo essere capaci di reagire. Come? Riuscendo ad essere sempre noi stessi, non portavoci e porta-pensieri di altri, di chi è “ben pensante”. Ognuno di noi è unico, speciale: deve venire fuori questa qualità, questa personalità, questa verità; se lo facessimo tutti, sarebbe tutto più facile. Per riuscirci, forse deve tremare la terra sotto i nostri piedi, noi abbiamo cercato da sempre di farla tremare: quando il mercato guadagna una sicurezza, è ora di guardare oltre. Una volta la sicurezza era un posto in banca o, nel nostro settore,  il sapere che le persone che si sposano hanno bisogno di un fotografo che gli fa le foto, che c’erano le pellicole che bisogna sviluppare, che per fare una fotografia serve una macchina fotografica (e non un cellulare, tanto per fare un esempio). In venti anni (anche meno) il mondo è cambiato, ma in realtà continua a cambiare: non ci sono vincitori e regole “perenni”: c’è stata l’entrata in borsa di Facebook, e un ragazzetto impertinente e riccioluto diventerà forse l’uomo più ricco del mondo e la sua azienda la più importante dell’universo. Ma non è detto che sarà sempre così, il mondo cambia veloce, cambierà anche questo. L’unica cosa che rimarrà siamo – fin quando possibile – noi stessi, ma non quello che si vede fuori: quello che c’è dentro, quello che siamo “davvero”, e che non sempre viene fuori.

Abbiamo bisogno di trovare noi stessi, se ci riusciremo i terremoti non ci faranno paura, sapremo come reagire, sapremo che dentro di noi ci sarà sempre la sicurezza. Perché c’è… e semmai dobbiamo pensare, oltre che a noi, ai giovani che ancora questo “IO” non ce l’hanno ancora solido, che sta ancora crescendo e ci mette un po’ di più rispetto ai baffi o ai cambiamenti del corpo adolescente. La nostra missione è quindi anche quella di proteggerli, e fare in modo che possano apprendere come cercare a scavare dentro di loro, al momento giusto, per andare a caccia della loro “follia” e del loro essere “speciali”.