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Più "bande" che "larghe" le connessioni italiane

L’economia – non solo quella digitale, in generale – ha bisogno di “banda larga“. Non quella citata da un eccellente titolo di un quotidiano italiano, per descrivere la vicenda e i “fattacci” scoppiati su Fastweb e su una società del gruppo Telecom (ne avrete letto). Di questo – ovvero della banda larga – si discute da tanto e ovunque. Peccato che il problema non è quello che si discute, non quello che si fa finta di risolvere, ma quelli che sono i fatti.

Non so da dove cominciare… potrei parlare delle prese in giro dei provider telefonici con le chiavette USB di ultima generazione, che promettono velocità da 14,4 e addirittura 28.8 Mbps. Ne ho presa una, da 14.4, di TIM, che va “benissimo”, ha solo due “piccoli” difetti: è così “grassa” da impedire il collegamento della stessa insieme ad un altro device USB o Firewire sui portatili (qualcuno dirà che è colpa del Macbook, che ha poco spazio tra una porta e l’altra, altri diranno che si può usare un adattatore a filo… ok, ma infastidisce lo stesso); il secondo difetto è che la velocità massima che ho visto usando questa chiavetta è di 5 mbps, e non posso nemmeno reclamare, perché tanto si sa che i dati sono “nominali”, secondo la legge. E’ scritto infatti che la velocità non è garantita, dipende dalla zona, da quante persone sono collegate, dalle condizioni generali della rete. Il fatto è che non si tratta di “dati nominali”, sono dati falsi e basta: prese in giro! Ho provato a navigare a Milano, in varie zone ma tutte centrali, dove “di sicuro” c’è una copertura, ad ogni ora del giorno della notte, ho dovuto subire anche una “velocità” di 1 Mbps, altro che “super veloce”. Non esiste la possibilità di andare alla velocità nominale, mai. Non che vada meglio con le velocità “nominali” dell’ADSL: se volete arrabbiarvi, andate e fate il vostro test di velocità su Speedtest, e avrete conferma di quello che tutti sanno: navighiamo a metà, a 1/3, a 1/4 della velocità dichiarata (e pagata).

Le promesse per superare il Digital Divide ci fanno solo arrabbiare, quindi: alla fine del 2010 ci viene promesso da un Protocollo d’intesa (sottoscritto dal Ministero delle Comunicazioni e l’UPI – Unione Province Italiane) una connessione di minino 2 Mbps per altre 2 milioni di famiglie italiane; ne mancheranno almeno altre 5 milioni di famiglie, dopo questo grande intervento. Sapete quello che costerà? 500 milioni di Euro, che si aggiungono a quelli già stanziati di 364 milioni di Euro (160 che ci sono stati “regalati” dalla Comunità Europea), che avevano come “missione” la fornitura di “banda larga” ad un altro milione di famiglie. 864 Milioni di Euro per… fornire connessione internet a 3 milioni di famiglie! Dai, è una presa in giro! E una volta ottenuta questa meravigliosa conquista, ben tre milioni in più di famiglie avranno una connessione “nominale” di 2 Mbps, che sarà effettivamente di quanto? di 400 Kbps? Quello che si poteva fare con un cellulare 6 anni fa?

E poi, perché stiamo parlando ancora di reti fisse? Cavi? Città da scoperchiare, da rompere, il dramma dell’ultimo miglio ancora da superare? Perché non puntare sulle reti wireless, siano queste di tipo cellulare (la sperimentazione del 4G è già partita, e promette velocità fino a 275 Mbps in download e fino a 75 Mbps in upload), o hotspot che possano “irradiare” connessione in tutte le aree delle città. E se cavo deve essere, almeno che sia fibra ottica usata con le ultime tecnologie (non basta il cavo), dove la velocità che si sta mettendo sul piatto è quella di 1 Gbps (1024 Mbps, tanto per essere chiari), proposta come sperimentazione da Google, ma anche Shaw Communications in Canada sta preparando un’offerta, per non considerare quello che già dal 2008 è una realtà in Giappone, ad un costo di 51,40 dollari al mese, più o meno quello che noi in Italia paghiamo per avere un’ADSL da poco più di 3 Mbps.

Non voglio chiedere “soluzioni” (sarebbe troppo, alla luce dei fatti): voglio avere il diritto di non essere trattato come un deficiente. Possiamo anche accettare (si fa per dire) di vivere in un Paese del terzo mondo, dal punto di vista tecnologico, ma non raccontateci frottole: il Digital Divide non lo supereremo in questo modo, anche perché non si supera con il denaro pubblico, specialmente se i costi di questi “progetti formidabili” sono questi. Ci vogliono altre forze, bisogna non prendersi in giro. In questi giorni, di Moda a Milano e nelle altre capitali fashion, alcuni stilisti (Gucci a Milano, Burberry a Londra, e altri) hanno proposto le loro sfilate in tempo reale in streaming. Per vedere cosa? Basse risoluzioni, che a pieno schermo mostrano più pixel che informazioni, perché impostare l’alta qualità porta a scatti, ad una visione che non è fluida.

Si parla di telelavoro, ma poi se accendiamo la webcam è un dramma, e pensare che si potrebbe ridurre l’inquinamento stando a casa, e non bloccando le auto alla domenica, come succede oggi a Milano e in qualche altro Comune del nord Italia. Nessuno che propone soluzioni serie per evitare di passare le giornate in auto… il digitale nasce anche per questo.

Tutta teoria? Tutti discorsi che non ci toccano direttamente? Col cavoloMolte delle nostre attività professionali sono bloccate dal fatto che non ci sia una connessione veloce, ma ancor di più da una connessione wifi veloce ovunque. Tra un mese avremo tra le mani oggetti come l’iPad (e altri) che potranno far nascere e crescere business nell’editoria e nella comunicazione (che sono il pane per tutti noi), e noi staremo li a dire “come sarebbe bello“, perché la “mobilità” ha un senso se e solo se avremo connessioni aperte e veloci, accessibili con contratti “sensati”, e se potremo sfruttare le potenzialità che la tecnologia ci offre non solo nella teoria.

Non arrivo a dire che tutto questo dovremmo averlo gratis (anche se potrebbe configurarsi come un diritto di un cittadino), ma non voglio attendere che il muro dell’ignoranza e delle bugie possa finalmente crollare. Perché non lasciare spazio all’imprenditoria vera, quella che investe per averne un ritorno concreto, ma offrendo opportunità per un mondo che vuole correre, e non rimanere al palo, magari avendo aiuti e vantaggi per coprire non solo i centri più ricchi, ma ovunque? Il Cloud computing (applicazioni e dati residenti online, accessibili ovunque, anche con computer di limitata potenza),  può essere la strada per alleggerire le strutture, le aziende, per ridurre gli investimenti in tecnologia ed in infrastruttura, ma come facciamo se non possiamo convertire i nostri archivi digitali “fisici” in una realtà virtuale davvero accessibile e aggiornabile online? Quanti Gb al giorno produciamo, noi fotografi? Ogni shooting sono Gb e Gb di RAW, e ora che iniziamo a gestire anche i filmati video con le V-SLR, questi volumi crescono ancora di più. Mentre sto scrivendo, sto facendo l’upload di Gb e Gb di un progetto che presto vi presenteremo, e questo ci occuperà ore e ore. L’altro giorno ho scaricato (legalmente…) decine di Gb di software da un server, e ho dovuto lasciare tutta la notte il computer macinare dati in download. Se si potesse fare in secondi, invece che in ore, in minuti anziché in giorni, potremmo gestire servizi ed efficienza di gran lunga superiore. E uscire dalla crisi più rapidamente.

E sapete quello che mi fa ancora più rabbia? E’ che questo SJ non porta a nulla… non riesce a dare consigli pratici, non da’ aiuti concreti: è “semplicemente” uno strumento di informazione del dove siamo, di dove dovremmo essere, del pericolo causato dall’arretramento tecnologico, che porterà l’azienda Italia a perdere competitività, non solo nell’industria, nel business “con l’abito elegante”, ma anche nella creatività, perché sarà difficile inventare e realizzare idee creative che possano sfruttare il futuro, se questo futuro non riesce a sembrare nemmeno lontanamente una realtà. Se dobbiamo “immaginare” un futuro che per altri è evidente e concreto, pensate alla fatica che dovremo superare per poter andare oltre…

L’unico consiglio è quello di investire, tutti noi, in connettività veloce, appena ci viene proposta. Ricordo ancora di avere capito molto dal futuro visitando, nel 1998, la redazione di Wired a San Francisco (tra parentesi, da ieri sono un collaboratore dell’edizione italiana online, un piccolo successo personale). La sede era malconcia, i tavoli erano di legno di poco pregio, ma sotto viaggiavano cavi ad alta velocità, all’epoca un lusso per pochi. I muscoli del futuro passano dalla rete, e la sua velocità sarà determinante: vedere quello che si fa all’estero, potenziare il più possibile la nostra struttura con quello che (poco) abbiamo a disposizione, investire in connessioni “always on” non è lusso, e non è febbre tecnologica, è il modo per esserci, ora e sempre. Senza capire questo, si rimane fuori dai giochi, dalla comprensione, dal potere dei social network che stanno cambiando tutto.