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Inseguiamo la Polaroid perduta, o noi stessi?

Ho ricevuto diverse segnalazioni/richieste: com’è che, dopo essere stato tra i primi a parlare della “chiusura” della Polaroid, poi non hai subito segnalato le buone notizie, appena sono state annunciate? Prima di tutto, tendiamo a non parlare di quello di cui parlano già tutti: blog, siti, giornali... tutti hanno parlato della “rinascita della Polaroid“, e della curiosa mossa di assumere Lady Gaga come “direttore creativo” per studiare nuovi prodotti (non per mettere la sua faccia o il suo nome… proprio per studiarli, dal punto di vista creativo). In seconda battuta, la situazione non mi è chiara… ho passato un bel po’ di tempo ad approfondire (sono sicuro che in pochi abbiano capito come stanno realmente le cose), e quando ho approfondito abbastanza da capire i meccanismi commerciali e aziendali, continuo a capire poco. Magari… insieme, ripercorrendo i passi, possiamo capire insieme.

Allora, sappiamo che Polaroid ha gestito il passaggio al digitale con acume poco… acuto (quanto vorrei avere tra le mani i “grandi capi” di questa azienda che l’hanno guidata, tra il ’90 e il 2000). L’azienda che per prima doveva fare passi da gigante verso il digitale, non solo non ha fatto nulla, ma non ha nemmeno combattuto su un fronte opposto, come fa per esempio Lomography che è riuscita dal (quasi) nulla a creare una tendenza molto “cool” nell’uso della tecnologia analogica. Semplicemente… non ha fatto nulla, e alla fine è crollata. Chi ricorda quello che era il padiglione di Polaroid alla Photokina, negli anni d’oro, non poteva credere al fatto che potesse crollare così…

I fatti più moderni hanno portato ad un passaggio di mani del marchio, non sto a fare storia, sta di fatto che ora il marchio Polaroid è di proprietà della PLR IP Holdings, LLC. A sua volta, PLR ha fatto un accordo di 5 anni con Summit Global Group per la produzione e la commercializzazione – sotto il marchio Polaroid – di fotocamere digitali, cornici digitali e specialmente le PoGo, fotocamere dotate di stampanti Zink (Zero INK), tecnologia nata al di fuori del gruppo (da una società che nulla aveva a che fare, ne abbiamo parlato anni fa), ma trasformata in un punto di forza: primo vero colpo di acume, perché unisce la ripresa digitale alla stampa su carta, per dare agli utenti un doppio modo di vivere la fotografia. Se si va a vedere il sito di Polaroid, si parla di queste cose, e di nient’altro, se escludiamo il social network fotografico (Polaroid Studio). Stiamo dicendo che Polaroid, nel suo meccanismo di business, nemmeno si ricorda di “essere un produttore di pellicole”: sul sito ufficiale, non se ne parla proprio!

A questo punto, perché si parla di Polaroid? Se la Polaroid nemmeno si ricorda di pellicole, allora… di cosa si sta parlando? Beh, un po’ di tempo fa, è nato un progetto “impossibile“, anche nel nome, non a caso è stato chiamato “The Impossible Project“, e la società, Impossible b.v., che è riuscita ad acquisire l’intero magazzino di pellicole prodotte e la possibilità di gestire uno degli unici due impianti ancora esistenti, sebbene chiusi, di Polaroid: quello olandese di Enschede (quello messicano ce lo siamo giocati…). Il progetto, ancora più complesso, non è quello di tornare a produrre le vecchie pellicole, ma sviluppare nuovi progetti (sembra tutti basati sul formato compatibile con le macchine SX-70 e 600). Tra questi, anche nuove emulsioni sviluppate in collaborazione con Ilford Photo. E – siamo sicuri – ci saranno molte novità e molte evoluzioni attorno a questo progetto, che ovviamente è affascinante, si basa su un’esigenza latente, su un movimento culturale che cerca di recuperare (o di non perdere) il gusto di questo lessico visivo. Condivisibile, vero?

Mmm… il dubbio viene qua. Premetto: ho amato e amo le Polaroid, ho vissuto l’Era che richiedeva una Polaroid per verificare l’immagine scattata con il banco ottico, prima di esporre le pellicole in studio, ho amato il negativo bianco e nero della Polaroid Type 55, così ricco di dettagli e di sfumature. Ho ancora un mio ritratto che mi ha scattato Joe Oppedisano con la Polaroid 50×60. Il problema è capire: cosa c’è dietro questo progetto? Una meravigliosa intuizione commerciale, oppure una reale esigenza di mercato? Se abbiamo smesso tutti di usare le Polaroid, non ci sarà forse un motivo? E se in molti (dove “molti” sono forse l’1% dei più appassionati di fotografia, non certo del globale degli utenti della fotografia), ancora la cercano non è forse per la paura… di averla persa? La rincorsa per accaparrarsi le ultime emulsioni, in parte anche scadute, non è legata indissolubilmente al desiderio di possedere qualcosa che in pochi possono ancora avere tra le mani? Ci sono persone che del linguaggio Polaroid ne hanno fatto una strada netta, ovviamente si può pensare a Maurizio Galimberti, e tanti che vedono nell’unicità della copia un valore artistico molto forte. Altri ancora, vedono nella manipolazione “fisica” il vero valore delle pellicole Polaroid, perchè la manipolazione “fisica” è – di per sé – superiore a quella digitale… almeno agli occhi di molti. Si parla poco di quello che forse è stato il maggiore valore delle “Polaroid”, che era il senso di condivisione delle immagini tra gli amici e parenti, un modo di vivere la fotografia tutto speciale, il primo vero “social network fotografico”, decenni prima di Flickr e di Facebook… mentre tutti parlano di “risultato estetico“, di “fisicità” e di unicità dello scatto Polaroid.

Non voglio demonizzare le passioni, non faccio finta di non capirne il fascino ed anche il valore storico e culturale. Dico che… a volte bisogna anche comprendere quali sono le conquiste, e specialmente chi sta conquistando chi… siamo noi, fotografi ed appassionati, che riusciremo ad avere di nuovo il gusto del passato, oppure è un attento progetto di marketing che ha deciso di catturarci, proponendoci il sapore del passato e dei bei tempi in pillole biodegradabili al costo altissimo? E, peggio ancora, non stiamo delegando la nostra creatività ad un supporto? Ad un linguaggio-effetto? Una foto brutta diventa bella se scattata in Polaroid? A volte… ho paura che sia successo, che possa succedere. E so che irriterò molti appassionati… ma non sono convinto che sia necessario il supporto antico per far rinascere vecchie passioni. Specialmente perché si cade nel trucco… quello che tanto si critica nell’uso del digitale. Un filtro di Photoshop è “cheap“, l’uso di una pellicola Polaroid invece è “cool“… perché? In questi giorni mi sto interrogando molto su questo, perché mi sono trovato ad usare soluzioni che mi hanno ricordato molto il gusto del passato, ma non sono “fisiche”, sono virtuali, sono “effetti”, sono “trucchi”, ma non per questo devono essere interpretati come “inferiori” o non meritevoli di attenzione. Un ottimo esempio è l’applicativo Lo-Mob per iPhone, che permette di elaborare in stile “vintage” le immagini scattate (o copiate) sul telefonino di Apple. Nella foto di introduzione (già… forse qualcuno potrebbe avere pensato fosse una Polaroid “originale”) e qui sotto potete trovare qualche esempio… robetta da nulla, sono scatti fatti per gioco dal sottoscritto, quindi nulla di “artistico” (al limite wannabe…). Si usa, come potete vedere, il look and feel delle Polaroid, e probabilmente si tratta anche di un banale scimmiottamento. Ma non rischiamo di inseguire un altro tipo di “scimmiottamento” cercando nelle pellicole pellicole Polaroid una strada di creatività?

In definitiva, quello che volevamo dimostrare, o quantomeno discutere, è che la nostra creatività non dovrebbe appoggiarsi sugli “strumenti”, ma solo sulle idee. Facile da dire, quando si parla di “cose nuove”, ma dannatamente difficile quando si guarda al passato… ma in definitiva (e fino a prova contraria, “Replicanti” a parte), siamo umani.