Jumper

In memoria di Gabriele Basilico, cerchiamo nuove strade per l'incontro e il dialogo

Il 13 febbraio, qualche giorno fa, è morto Gabriele Basilico: uno dei nomi più celebri della fotografia contemporanea italiana. Nato come architetto, e poi ha trovato il suo percorso a cavallo tra forme architettoniche e immagini di architettura, e tutto questo facendo trasparire un profondo messaggio visuale, espressivo, sociale (d’altra parte, c’è qualcosa che meglio possa raccontare le persone, se non le case, i palazzi, i luoghi dove si vive?).

Non sono titolato a parlare di Gabriele Basilico: è uno dei fotografi che ho sempre ammirato, sin da ragazzino, ma che non ho avuto il piacere di “vivere direttamente”. Ricordo, ahimè, una mail da me mandata a lui qualche anno fa che non ha avuto risposta, e la perdita mi rende quel vuoto ancora meno colmabile. Avrei avuto piacere di parlare con lui di vari argomenti, chissà se un disguido informatico, il momento sbagliato o un dialogo che era destino di non poter intavolare si è messo in mezzo tra di noi, ma forse l’occasione arriva adesso: sono convinto che le persone si possono incontrare anche in modo diverso dal tradizionale. In realtà, forse proprio questo “mancato incontro” è una sintesi e un esempio di tanti mancati incontri che dovrebbero essere evitati. In questa vita terrena…

Gabriele Basilico era un fotografo nato in un’altra generazione. Non per la sua età (69 anni, e molti molti anni ancora di “visioni” da raccontarci con le sue macchine fotografiche: perché ci rimane sempre il brutto mentre il bello sembra dover sparire sempre così presto?), ma per un approccio all’immagine che oggi non si trova frequentemente. Una fotografia realizzata con rigore (le fotocamere, la tecnica, le scelte stilistiche erano sempre perfette, profonde, narrative), che è opposta alla fotografia “consumata” in una frazione di secondo. Da sempre lottiamo contro i luoghi comuni che vedono la tecnica moderna (digitale, multimediale, fotocellulare) in antitesi con quella della fotografia di qualità (banco ottico, pellicola, bianco e nero), e purtroppo è questo il dialogo (o argomenti subalterni a questo) che rimane e si propaga, sguaiato e inconcludente. Le fotografie di Basilico non sono – che bello poter parlare al presente… le fotografie non ci lasciano, non muoiono, non vengono sepolte: forse per questo amo così tanto questa “forma di realtà” – solo meravigliose per la tecnica con le quali sono state realizzate; sono belle e meravigliose perché bello e meraviglioso era l’occhio che le ha catturate. E’ così banale che da fastidio abbinare questi concetti all’argomento e al nome di questo Sunday Jumper… ma purtroppo non sembra così, quando ci si guarda in giro: si parla sempre troppo di strumenti, e poco di risultati visuali, delle storie che si raccontano con un’immagine.

Il dialogo di cui parlo – che sarebbe tanto importante – è quello che possa mettere in evidenza il valore del contenuto. Per riuscirci non basta l’incontro: non c’è niente di peggio di un incontro che non permetta alle persone di interagire, un “Maestro” non è tale se sta lontano dalle persone alle quali si appresta ad insegnare. Da due anni faccio – tra le varie cose, ma con molta passione – il docente, e proprio recentemente mi sono accorto che la distanza tra “banchi” e “cattedra” genera un muro spesso invalicabile. Sto pensando a cambiamenti architettonici per delle aule di formazione, e penso che mi sarebbe stato d’aiuto un esperto come Gabriele… forse gliela avrei chiesta una sua opinione in merito, ma non prima di avere cercato di capire cosa le sue immagini hanno di magico. Non volevo e non avrei voluto una “Lecture”, come vengono chiamate ora le “Lezioni”. Non volevo e non cercavo frasi e approcci in grado di giustificare e motivare delle scelte estetiche e di comunicazione che – nell’atto del click – sono molto più istintive, molto meno “raccontate”. Avrei cercato il dialogo, l’incontro, lo scambio, la condivisione: ecco, questo è davvero un incontro. Perché il mondo dell’immagine è così cambiato in questi ultimi 10–20 anni che non può essere etichettato e vissuto a cassetti chiusi, e la bellezza del mondo che corre in avanti o che si guarda indietro c’è solo quando queste due tendenze si incontrano e viaggiano insieme.

Non potrò, come per tutti, purtroppo incontrare più Gabriele Basilico, ma questo è un insegnamento sull’esigenza di muoversi subito, perché c’è da preservare una cultura, una capacità di alcuni di vedere cose che agli occhi di noi stolti sembrano invisibili e al tempo stesso è bello trasferire altri concetti, avrei voluto raccontare a Basilico come avrei voluto vedere le sue immagini e le sue storie su nuovi media, non solo quelli patinati di bellissimi libri. Magari avrebbe trovato interessante il dialogo e il confronto, anche solo dal punto di vista culturale ed accademico, e questo forse non avrebbe portato a fare qualcosa insieme, ma magari sarebbe stato sufficiente per superare la patina del primo “strato” di conoscenza e interazione, e avrebbe portato il dialogo su un percorso e una tematica più evoluta.

Non voglio che accada con altri… non voglio che si perdano occasioni di incontro, e sentendoci un po’ elemento di tramite per parlare di questi argomenti e con questo prezioso mondo con le nostre riviste e le nostre iniziative editoriali, non vogliamo che queste occasioni non vissute direttamente non possano trasformarsi in contenuti per trasferire questi valori a tanti. Bisogna creare occasioni, modalità di incontro, di condivisione di esperienze. Si, vogliamo assolutamente farlo, troveremo il modo… in qualche modo. Questo mondo non si incontra più, nemmeno più si sfiora, e ogni giorno si perde qualcosa: una persona eccezionale, come Gabriele Basilico, ma senza andare così nel profondo della tristezza, si perdono tasselli anche piccoli, che però tutti insieme fanno tanto. Fanno la nostra cultura.

Addio, “amico” Gabriele Basilico, mai conosciuto; ci saranno occasioni di incontrarti spesso, grazie alle tue fotografie, e poi chissà… Nel frattempo, vediamo di creare momenti di incontro vero, tra persone, tra occhi che hanno visto tanto e che hanno tanto da mostrare, per trovare strade e percorsi comuni e mai opposti o – peggio ancora – imitativi.