Adobe: un addio ai creativi che cercano innovazione?

Adobe: un addio ai creativi che cercano innovazione?

Adobe abbandona creativi

Rodion Kutsaev

Qualche giorno fa, Adobe ha annunciato di avere interrotto lo sviluppo di un software che non è stato certo di grande successo, Adobe Muse, ma che è stato amato (e odiato) da tanti. Chi lo ha amato ne ha percepito la forza del web design di forte impatto (parallax scrolling e responsive design, in particolare), senza usare codice; chi l’ha odiato, tipicamente gli sviluppatori web, ha messo in evidenza (con buone ragioni) il fatto che il codice prodotto da Muse era “un gran pasticcio”, quindi pesante, disordinato, a volte non compatibile. Sempre la stessa storia: istinto creativo versus tecnica, non c’è un vincitore mai, ma c’è una filosofia. E non riguarda Muse, riguarda Adobe.

La grande software house è, secondo noi, da qualche anno governata da una visione che non coincide con i ritmi dell’evoluzione dell’innovazione della comunicazione digitale, e sta rischiando un allontanamento da un certo tipo di mercato. Sta guardando altrove, non c’è dubbio, ma a volte il terreno è più facile perderlo che non guadagnarlo.

Adobe è diventata famosa, ricca e il punto di riferimento grazie al PostScript (linguaggio che tutti usano, senza nemmeno saperlo, ogni giorno), con Photoshop (non nato dentro Adobe), Illustrator, Indesign. E poi tutti i tools che in parte si conoscono e altri dei quali si è “solo sentito parlare”, un elenco di un pacchetto, la Creative Suite poi rinominata Creative Cloud. Ma ci sono altre aree, nella mente (e forse nel cuore) di Adobe: gli strumenti di analisi dei dati per il marketing e per la pubblicità, quelle della gestione dei documenti e le soluzioni “enterprise” che vengono confezionate sulle specifiche esigenze delle aziende. Queste aree sono ovviamente di maggiore competitività e redditività, e si scontrano con i giganti dell’informatica e dell’informazione e dove il successo non è sicuramente scontato.

Fermiamoci però nell’area che è più vicina a tutti i nostri lettori: quella creativa. C’è una tendenza, chiara, nel processo di creazione e del flusso di lavoro che Adobe sa bene, e che usa in certi campi, ma in altri sembra far confusione. Si tratta della semplificazione dei percorsi, per passare dall’idea alla realizzazione senza passare da un processo di formazione tecnica lunga e faticosa. I “creativi” sono sempre più persone che intuiscono dei filoni estetici, di comunicazione, di interazione, e il loro obiettivo è quello di raggiungere il risultato sempre più velocemente, anche perché la fruizione di tali contenuti avviene per vie digitali che hanno bisogno di alimentazione continua, costante e in real time. In più, le idee creative hanno ristretto non solo i tempi, ma anche il numero di persone coinvolte: chi ha un’esigenza (o un’idea) diventa sempre più chi la realizza, chi la distribuisce e chi ne trae beneficio. Per certi versi, si tratta della vittoria del “dilettantismo”, ma in realtà ci sono vari livelli di questo fenomeno, e nessuno di questi può essere sottovalutato, in una visione del business della comunicazione e della creatività. Vediamoli e poi cerchiamo di trarre delle conclusioni.

Soluzioni per dilettanti allo sbaraglio

Ci sono, è vero, soluzioni nate per dilettanti: pochi click e il gioco è fatto. Si prende un’idea che ha successo (cinemagraph, animazioni, 360, variazioni cromatiche… solo per fare degli esempi) e le rendono “pret-a-porter”. Quando la sigla dei telefilm “True detective” ha lanciato, tanti anni fa la moda delle silhouette con dentro immagini video, migliaia e migliaia di creativi hanno voluto replicare questo effetto con Phototoshop o con After, e poi sono arrivate le app per farlo con un click (per esempio: LiveBlend su App Store). Questo genere di utenti non si preoccupa se queste soluzioni sono limitate: non lo fanno per lavoro, ma per stupire gli amici e per divertirsi. Vanno benissimo e sono contenti.

Soluzioni “TOP” per “veri professionisti”

Sono quelli che devono raggiungere risultati di altissimo livello, senza compromessi, e hanno un approccio nella propria mente molto chiaro: se un processo non è complesso, allora non va bene… la loro “competenza” la manifestano dai muscoli dei loro processi, tipo 18 passaggi impossibili da tenere a memoria, che richiedono processori super potenti, schede video costose e notti da passare insonni. Servono professionisti di questo tipo, non c’è dubbio, ma sono e saranno sempre più isolati in fette di mercato verticali, ad alta remunerazione, che ammiriamo tanto come specializzazione e come competenze (meno quando, come i vegani, cercano di parlarci per convincerci che la loro è l’unica strada… non c’è MAI una sola strada giusta). Per nostra attività da decenni, progettiamo e compriamo immagini, comunicazione, design per i nostri clienti (alcuni di questi molto grandi, ma tutti importanti), insegniamo e formiamo giovani e professionisti: sappiamo tutto quello che serve per avere il “top”, ma se poi sentiamo in giro che “i clienti non pagano la qualità”, allora continuiamo a dire che c’è qualcosa che non funziona. Non si può lavorare al “top” e farsi pagare “down”. E non possiamo più sopportare la litania di chi – facendo purtroppo i conti – dice di lavorare sottocosto. Ci sono due soluzioni: cambiare clienti, quelli che sono in grado di apprezzare, comprendere, sfruttare tale qualità elevata e quindi sono disposti a pagare oppure ridurre il tempo di produzione (non stiamo dicendo “abbassare la qualità” perché la qualità vale solo se percepita e pagata). Parliamo di fare cose che piacciono, stupiscono, entusiasmano, fanno vendere (sia ai vostri clienti che voi stessi).

Soluzioni Smart per professionisti

Noi crediamo che quello che serva, a tutti, siano le soluzioni Smart (intelligenti). Non sono “giochini” per dilettanti, non sono processi muscolosi, tolgono, con intelligenza e sensibilità, tutti i percorsi inutili e fanno arrivare all’obiettivo: fare eccellenti cose, velocemente. Creano rapidamente accesso a delle eccellenze, in poco tempo e con risultati di grande spessore. Non risolvono tutto, ma quasi tutto, e specialmente differenziano i creativi e i prodotti derivati non in relazione al grado di complessità tecnico, ma da quello del risultato. Ai clienti, che voi passiate da 18 step di correzione dei canali colore o da ore di rendering non interessa nulla: vogliono il prodotto giusto, anzi… vogliono essere stupiti (e per stupire bisogna essere i primi a mostrare innovazione). In questa area, vincono i professionisti che amano fare, che amano esplorare nuovi percorsi e nuovi territori, e vogliono dedicarsi al “Fare”, perché solo facendo si impara, non sono i tutorial che contano, non le procedure, non i tasti e nemmeno i muscoli. Le idee, la fusione di linguaggi perché questo è il NUOVO linguaggio.

Dove sta andando Adobe?

A parte le aree Enterprise, dal punto di vista dei software e dei processi, Adobe sta operando sui due livelli estremi (tra quelli citati sopra):

  • Le soluzioni “TOP” per “veri professionisti”
  • Le soluzioni per dilettanti allo sbaraglio

Nel primo campo, quello più propriamente Adobe, stanno creando software sempre più complessi, immensi, inavvicinabili. Che richiedono centrali nucleari (computer nuovi, potenti, costosi) per funzionare, e approcci che quando cercano di semplificare dal punto di vista delle interfacce combinano guai (banalizzano, non semplificano… e fanno arrabbiare sia i professionisti che i nuovi adepti, come per esempio pubblicato qui sotto).

Invece che individuare soluzioni leggere e ottimizzate (diavolo: hanno un ecosistema, non potrebbero avere mini software che si integrano tra di loro invece che avere tutto in una stessa scatola? Non è difficile da capire che servirebbero tools leggeri e potenti, veloci, che si aprono in un secondo, per fare specifiche operazioni… ).

Nel secondo campo, non inventano quasi nulla (le idee delle app di Adobe sono quasi sempre copie di altre app nate molto prima) e specialmente la politica è quella di trovare una monetizzazione tramite gli abbonamenti alla CC. In teoria vogliono fare esattamente quello che diciamo (tools leggeri e potenti, veloci, che si aprono in un secondo, per fare specifiche operazioni), ma nella pratica non sembrano crederci neanche un po’… semplicemente svendono pezzi di tecnologia ad “UTENTI/UTONTI” nella speranza che diventino poi utenti della CC (e non avverrà, baby…).

Nel frattempo, invece che migliorare Muse, lo chiudono e dicono agli utenti: se proprio volete, usate SPARK (Una soluzione per “dilettanti allo sbaraglio”) oppure Dreamweaver (Soluzione “TOP” per “veri professionisti”). Non fa niente se oggi software come Tumult Hype dimostrano che si possono fare software per creare web di altissimo livello, responsive, parallax scrolling e con animazioni spettacolari senza usare codice, ma che produce in uscita un codice perfettamente pulito e integrabile con codice scritto a mano (per chi ne ha bisogno o lo desidera). Se qualcuno è interessato, abbiamo dei corsi video che vi permettono, in poche ore, di usarlo al top… (ma non ne parliamo per questo). Lo stesso vale per software di animazione, di digital publishing (Pubcoder, per esempio) ci sono soluzioni potentissime e anche queste semplici da usare, e che si ha desiderio di usare. Sempre sul versante digital publishing, qualche giorno fa, Apple Pages ha aperto la possibilita di creare documenti ePub per utenti di fascia molto allargata.

Ma fa sorridere che anche quando Adobe ci prova a fare il “giusto” per questo nuovo modo di pensare al software e alle soluzioni per creativi, sembra annaspare: è il caso di Adobe XD, software per il design di interfacce e per la prototipazione che è l’esempio classico di un gigante che si muove lento e senza una visione (apparentemente) nitida. Il tool in questione copia soluzioni nate anni fa e che sono immensamente più avanti. Software come Sketch sono così più avanzati che fanno impallidire i giganti di Adobe e hanno creato un ecosistema che non solo si è rafforzato da un meccanismo che proprio Adobe ha creato (quello dei plug in di Photoshop), ma che addirittura è sotto attacco da nuovi competitors (per esempio InVision Studio | Screen Design. Redesigned, un software totalmente gratuito anche se richiede un abbonamento a Invision, che ha però, a sua volta, ha una opzione entry level totalmente gratuita). Quello che vogliamo dire è che Adobe è anni indietro a Sketch che oggi forse potrebbe essere superato da qualcuno che sta cercando di fare “addirittura” di meglio, e questa competizione sta facendo correre velocemente tutti (la nuova release di Sketch supporta nativamente la prototipazione, che finora veniva proposta da terze parti).

Nel settore del 3D, Adobe ha proposto di recente Dimension, per chi si avvicina a questo mondo. E’ un’app divertente, ma ancora acerba, e specialmente di posizionamento non particolarmente azzeccato (non è esattamente Soluzione per dilettanti allo sbaraglio, ma non è sufficientemente Smart), ci sono ben più interessanti app per il 3d per iPad (oggetto che nella sua versione Pro, o anche nella nuova versione “educational” a basso costo, 349 euro, corredato dalla Pencil, è di fatto una piattaforma di creazione che usa l’approccio della “tavoletta grafica” super sensibile che è a sua volta schermo…). Alcuni esempi:

Shapr3D: Think & Design in 3D su App Store

Onshape 3D CAD su App Store

Senza contare che oggi parlare di 3D significa parlare (ANCHE) di stampa 3D, di creazione di ambienti da navigare con la realtà virtuale o con la Mixed reality e quello che servirebbe sarebbe un tool per lavorare nello specifico in questo ambito; parlare di integrazione 3D per produrre immagini fisse è un un po’ limitante.

Adobe: sicurezze per il futuro?

In questi anni, Adobe non solo non si è dimostrata capace di rivoluzionare e di innovare, ma si è tirata indietro da molti progetti, lasciando milioni di utenti (che hanno investito migliaia di ore di formazione e di approfondimento sulle soluzioni sulle quali hanno creduto, anche grazie alla “credibilità” dell’azienda) nel vuoto. E’ successo con la soluzione DPS (Digital Publishing System), che non solo ha lasciato un vuoto importante, ma ha ucciso migliaia di riviste digitali che sono morte perché non più aggiornabili (con il passaggio da 32 a 64 bit per le App su Appstore, per esempio). Poi ha ucciso Adobe Flash perché non è stata capace di superare i limiti intrinsechi del formato (sebbene lo abbia difeso a spada tratta per anni), poi ha ora ucciso Adobe Muse (che, torniamo a dire, aveva tanti difetti, ma permetteva di fare meraviglie), e ci domandiamo: quale sarà la prossima tappa? Chi paga per queste decisioni che generano disagio e disinnamoramento?

Non sta facendo solo cose “sbagliate”, sta innovando con Adobe Sensei (di cui abbiamo parlato a lungo qui), ha integrato un flusso di immagini pronte all’uso nei loro software (Adobe Stock), ha capito che le immagini sono al centro dell’analisi dei dati, e lo saranno sempre di più. Ma si stanno dimenticando di troppi settori, per esempio quello della formazione (esiste una soluzione, e in particolare un software Adobe Captivate, che proprio di recente sentivo avere generato un sacco di problemi di importazione di semplici slide di Powerpoint ad un docente che conosciamo, ma non si può certo dire che Adobe stia comunicando e facendo un programma per rafforzare il suo ruolo in questo campo importante (cosa che fa Apple, ma che ovviamente fa Google e altri che si occupano di soluzioni di eLearning).

Nei campi dove si percepisce più crescita, potenzialità, stimoli, idee… in tutti questi campi ci si guarda attorno e non si incrocia lo sguardo e il supporto di Adobe (ancor più in Italia, ma questa è un’altra storia). Cosa ci porterà il futuro? L’impressione è che Adobe manterrà il suo importante ruolo, ma è sempre più evidente che non si tratta di una scelta come il matrimonio (per tutta la vita), è un compagno di viaggio che parla la nostra lingua, ma che poi alla fine di una bella passeggiata ci dice che ha da fare, e che no, non viene con noi a bere l’aperitivo, che non rimane tutta la notte con noi. E il desiderio di guardarsi attorno, come amanti che hanno tanto amato e che proprio per questo si sentono “abbandonati” o ancor di più non capiti, diventa forte. Si sta manifestando una percezione collettiva, in alcuni ambiti, dove si arriva a fare i discorsi da ex alcolisti:

Ciao, sono un graphic designer, e da 325 giorni non uso un software di Adobe.

e nelle richieste di collaborazioni, su LinkedIn o altrove, si cercano “skills” che non riguardano software Adobe, anche perché ormai hanno lo stesso peso delle competenze linguistiche (parlo scolasticamente l’inglese… questo vuol dire che so ordinare un caffè al bar e nulla di più): nessuno sa davvero usare profondamente i software di Adobe, la maggior parte arriva al 5%. E allora… viva chi dice “So usare Sketch”, perché probabilmente ne sa usare l’80% (si impara in pochi giorni ad usarlo), è una garanzia in più e produrre con tanti tools non Adobe significa fare tanto, in poco tempo, e non serve cambiare i computer….

Cari signori, amici di Adobe (se ci siete ancora): questo è un modo per condividere preoccupazioni e dubbi (di qualcuno che paga le vostre licenze, tra parentesi), quindi forse qualche pensierino sarebbe utile farselo.

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