Jumper

Adesso, le riviste per il settore della fotografia le facciamo noi tutti, insieme!

L’Italia è un Paese strano. In generale, ovviamente, ma se scendiamo in settori che conosciamo, per esempio parlando di editoria, si può notare per esempio che ci sono decisamente più riviste (inteso come numero di testate) che non lettori (si producono tante riviste, ci sono pochi lettori). Ad alto livello (quotidiani), una delle motivazioni sono le sovvenzioni statali (si parla di 1 miliardo di euro/anno): poco importa se il prodotto editoriale ha valore o utilità, e ancor meno poco importa il numero e la fedeltà dei lettori, si parla di soldi, e nulla di più. A “basso livello” (dove le sovvenzioni non ci sono), ovvero l’immenso universo delle riviste di settore, si possono contare credo centinaia di migliaia di pubblicazioni, che alimentano (almeno fino a quando verranno veicolate sulla carta) stampatori, produttori di carta e inchiostri e specialmente le Poste. Il tutto, facendo finta di non vedere che il mondo dell’informazione ormai è così vasto che quello che servirebbe sarebbe una riduzione di contenuti, e non certo un aumento. Basta aprire internet per vedere quanto si può trovare. E non stiamo parlando solo del “web”, l’editoria e l’informazione deve confrontarsi ormai con vere e proprie rivoluzioni che sono per esempio le app che aggregano contenuti in funzione di quello che “davvero” è interessante per l’utente/lettore, e che specialmente giorno dopo giorno non solo ci forniscono informazioni in tempo reale, ma “apprendono” le esigenze e gli interessi del lettore, erogando così contenuti sempre più affini ai suoi gusti: è il caso di app di grande successo come per esempio Flipboad, Zite e quella che in questo momento preferisco più di tutte, ovvero Prismatic: i contenuti arrivano filtrati in modo diverso per ciascun utente, invece che essere sempre lo stesso contenuto che viene prodotto nella speranza che possa essere adeguato per tutti (e, inevitabilmente, più si allarga il target, più si finisce col diluire il messaggio).

Secondo noi, la crisi globale ci impone un atteggiamento, che è quello del credere nella sostanza. Bisogna pernsare a quello che “serve“, e servire” non è un argomento che riguarda i singoli, ma un contesto: se si lavora in un ambito, in un settore, quello che si fa non può essere solo utile a chi lo fa (sotto forma di proprio fatturato, di personale ed esclusivo guadagno, di “immagine”), ma deve essere percepito come “utile” per una comunità più ampia, specialmente se si tende a giustificare la propria azione proprio come “un’esigenza collettiva”. Una rivista, che si rivolge quindi ad un pubblico, è ancora più responsabile (dovrebbe esserlo, almeno) nei confronti di questo ruolo. Prima dell’era internet, si poteva dire che “almeno” poteva fornire un servizio di informazione, a prescindere da qualità e impegno, ora per avere un vero spazio di “utilità” deve essere di più: l’informazione esiste già, e se le persone non si informano, vuol dire che non sono interessate ad esserlo, non per mancanza di strumenti (e quindi, perché dovrebbero interessarsi ad un “nuovo” prodotto di informazione?). Qualcuno tenta di nascondere la mancanza di valori e di “utilità” usando come chiave il supporto cartaceo: “Non tutti hanno internet, e quindi eccoci qua… a coprire questo limite“. Ma andiamo! So bene che ci sono utenti in Italia che pur “lavorando” non usano un computer e non hanno una connessione a Internet… ma sono persone che sono così al di fuori del mondo che non possono essere prese in considerazione, non possono far parte di un tessuto sociale ed economico su cui basare un business (o anche solo un dialogo). Quindi… diciamolo: non è la carta che fa la differenza, la carta serve ed è fantastica per fare meravigliosi prodotti e progetti di alta qualità, non per “trasmettere informazioni”, perché la rete è molto più ampia, democratica, universale, economica. Certo, bisogna saperli usare gli strumenti digitali di comunicazione, se si usa “ancora” un orrido PDF progettato e “disegnato” per la stampa, non è leggibile, è ostico, pesa troppo dal punto di vista delle reti che abbiamo a disposizione in Italia, non si adatta ai vari media (provate a vedere un PDF in formato A4 su uno smartphone…. orrore!). Coloro che si ostinano a seguire strade “vecchie” non lo fanno per strategia e visione, lo fanno per ignoranza e incapacità.

Ma, oltre a questi discorsi, che possono forse anche risultare puramente accademici, c’è un punto fondamentale sul quale confrontarsi: come si fa a fare un’informazione “utile” se si vive al di fuori del mondo al quale ci si rivolge? Il “settore” non è fatto dai rapporti sociali con le aziende che vendono prodotti, non è fatto dalle fiere di settore, dagli stand, dalle conferenze stampa (tutti luoghi ideali per giornalisti ed operatori dell’editoria, con inclusi buffet, finger food, sorrisi e frasi simpatiche). Il “settore” è quello che si sveglia al mattino e deve trovare modi per vivere e addirittura per “sopravvivere”, e deve parlare con chi deve contribuire (pur nel suo piccolo) ad aiutare. Le riviste di settore non dialogano con i fotografi, parlano solo con chi vuole vendere prodotti a loro, e di conseguenza cercano di scrivere articoli per convincere i “lettori” a comprarli. Il settore ha ANCHE bisogno di prodotti, ma ha bisogno di imparare a vendere servizi e prodotti che si basano ANCHE sull’uso di questi prodotti. Chissà com’è, quello che è sparito nelle riviste di settore (non solo quelle fotografiche) è il dialogo con i lettori, perché se si chiede la loro opinione, si scoprirà che loro non hanno bisogno di quello che viene scritto, e sarebbe terribile mettere così in evidenza tale problema. Oppure, quello che otterrebbero sarebbe il silenzio, un silenzio che dimostra che loro… “i lettori”… nemmeno ti leggono.

Crediamo che in venti anni di editoria specializzata, abbiamo creato sempre un dialogo diretto e forte con i nostri lettori, e questo viene dimostrato dalla stima e simpatia che  avete per noi, dal fatto che partecipate agli eventi che noi organizziamo, che commentate i nostri post, che ci fate arrivare al primo posto su AppStore quando esce un nuovo numero di JPM Magazine (che è pronto, stiamo aggiornando l’app, e tra un paio di giorni quando avremo l’ok di Apple saremo on line). Siamo parte di questo mondo, facciamo il possibile per rispondere ad esigenze precise e importanti di questo settore. Vogliamo lavorare perché il nostro lavoro sia utile: non solo a far vivere il nostro piccolissimo team, ma per far vivere il settore, e in questo includiamo i lettori e anche le aziende che vorranno lavorare con “NOI” (Voi e noi, insieme) perché non siamo distanti, ma uniti in un unico mondo che deve viaggiare insieme, collaborare per crescere e per superare una crisi importante e a tratti drammatica.

Il nostro segno di “relazione” con tutti voi lo rinnoviamo oggi con un importante questionario: vogliamo che tutti possano dire quello che serve, cosa possiamo fare, come e cosa pensano delle riviste che promettono di “parlare a loro e per loro”. Vogliamo costruire un percorso di informazione (e di formazione) che possa essere davvero importante e di valore. Vogliamo portare le aziende a sensibilizzarsi sulle reali esigenze del “loro” mercato, usando le poche risorse nel modo migliore. Evitando sprechi, evitando atteggiamenti “vecchi”, trovando soluzioni “moderne” (compreso spendere meno per avere di più). Per fare questo, abbiamo bisogno di due minuti del vostro tempo. Non vogliamo buttare sul piatto solo qualche ossicino o creare specchietti per le allodole (come si fa, per esempio, a dire “che abbiamo l’edizione digitale” quando ci vengono proposte le riviste cartacee PDF da sfogliare sul computer, che sono illeggibili e inadatte a qualsiasi device mobile? Roba che forse era adatta 10 anni fa… ora il mondo è cambiato, e nessuno se ne accorge?). Vogliamo fare grandi cose, e non lo diciamo da oggi: sono più di 6 anni che pubblichiamo il Sunday Jumper e oggi ha 7000 lettori (molti, ma molti di più di quelli che “effettivamente” leggono altre riviste del settore); il 3 febbraio abbiamo festeggiato 2 anni (DUE ANNI) di JPM Magazine, che è tutt’ora l’unica vera rivista digitale del settore della fotografia in Italia e settimana prossima vi mostriamo cosa intendiamo – con l’uscita del numero nuovo – per una rivista digitale che può essere letta davvero da qualsiasi device.

Abbiamo bisogno di voi, per fare le cose, non per prometterle. Non siamo a caccia di “BOLLINI” (Organo ufficiale di qualcosa…), siamo a caccia di confermare ufficialmente il nostro ruolo direttamente chiedendolo a voi, che è davvero essere utili e concreti per tutti voi. E in questo progetto, al primo posto ci siete voi, perché dobbiamo essere ancora più vicini e “In relazione”. Aiutateci, basta cliccare qui e rispondere alle domande direttamente  a questo link che raccoglierà le risposte in un report che mostreremo a voi e alle aziende per iniziare un dialogo importante e da sviluppare velocemente… già da domani. Da oggi, costruiamo una seconda fase della nostra collaborazione, e sarà una fase importante per lavorare insieme e crescere. Dove tutti valgono.