Storie di fotografi. Nino Mascardi, uno in gamba (anche se non è inglese!)

Storie di fotografi. Nino Mascardi, uno in gamba (anche se non è inglese!)

Quando si parla di fotografia, specialmente quando si vuole esplorare all’indietro, si esplorano mondi che più facilmente si allineano al tessuto storico di questa arte/tecnica: la fotografia, nella concezione comune, è quella del fotoreportage, del ritratto, della moda. Eppure, c’è un’area che racconta altrettanto bene la nostra cultura sociale, la nostra storia in particolare degli ultimi 60/70 anni: la pubblicità.

La fotografia di pubblicità ci mostra come siamo cambiati nei nostri comportamenti più essenziali, e al tempo stesso come siamo rimasti uguali: cambiano gli stili, le tecniche di comunicazione, i colori, i contenitori e i media che visualizzano la “reclame”, ma non siamo molto distanti dall’era d’oro di Armando Testa e dei grandi della pubblicità del dopoguerra. Riuscire a fare un viaggio all’indietro ci fa capire quanto gli schemi e la struttura di un messaggio pubblicitario non abbia subito grandi trasformazioni, se non nella forma e nella formalità.

Abbiamo tra le mani un libro scritto da un grande fotografo di pubblicità italiano, l’amico Nino Mascardi. Di fatto, è limitativo definirlo così in modo settoriale, perché la storia di Nino è partita proprio dal fotoreportage, ma si è poi sviluppata fortemente nella pubblicità negli anni più importanti di questa forma di comunicazione e per di più in Italia, Paese che ha scritto pagine importanti che ancora si studiano, non solo dalle nostre parti. Non è un libro rivolto “al pubblico”, ma agli amici: autoprodotto, in tutto, si intitola:

“Pity you’re not British” (Peccato che non sei inglese)

e che mostra che, alla fine e per certi versi, ogni mondo è Paese.

Questo libro non vuole essere – lo dice lo stesso Nino nell’introduzione – una pubblicazione promozionale, e nemmeno si tratta “solamente” della storia di un professionista (in un periodo in cui questo termine aveva un peso e una sostanza che oggi fatichiamo a trovare), ma la storia di un mestiere, e di un periodo storico. Rispetto a tante autobiografie, la struttura narrativa non mette al centro il protagonista, ma in una forma molto ben organizzata, è divisa per argomenti che si intrecciano tra una timeline temporale e tutte le componenti: luoghi (in particolare nella parte iniziale, quando si parla della sua “prima parte della sua avventura fotografica”, ovvero il fotogiornalismo, persone (testimonial, miss Italia, categorie merceologiche – food, auto, eccetera – e aziende – Campari, Zucca, Roberta, Upim, La Rinascente…).

Nino Mascardi Rabarbaro Zucca

Il lato ancor più interessante è che il percorso raccontato (e mostrato) nel libro non ha solo un sapore di periodo “storico”: l’attività di Nino esplora i suoi 40 anni di lavoro, e ci sono esempi leggendari, del “passato”, ma anche il presente. Chiunque, quindi – giovane o di più lunga esperienza – trova un mondo nel quale riconoscersi, individuando agganci che permettono un’esplorazione partendo dal proprio punto di vista e potendo andare avanti o tornare indietro: sono invitati tutti, non è (proprio non lo è) un libro che parla del “bel tempo passato”, anzi: è un un ponte dove la curiosità del futuro è più forte che non i ricordi del passato.

Un esempio viene circa a metà del libro, dove Nino (uno di quelli che ha costruito set incredibili, impossibili, adottando tecnica, artigianalità e tocchi di genialità in un’era “analogica”) dichiara:

propongo di erigere un monumento nella piazza centrale delle più importanti città agli inventori di Photoshop, i fratelli Knoll. Certo che se tutto fosse successo 10 anni prima sarebbe stato molto meglio.”

Avrebbe potuto pensare e scrivere che questo mezzo “digitale” ha permesso ad altri di ottenere risultati che, all’epoca, solo lui e pochi altri erano in grado di realizzare. Ma non lo dice, e quando mette una vena di polemica, semmai, è nei confronti più genericamente della perdita del valore dell’idea (ma senza accusare il digitale in nessun modo, anzi: parla con affetto del suo spirito guida digitale, Enzo Garletti, che infatti è stato tra quelli che la fotografia digitale in Italia l’ha fatta davvero ed è ancora oggi un punto di riferimento importante per chi ha imparato a conoscerlo ed apprezzarlo). E ci sono esempi in cui a volte il computer non è stato usato, ma non usa quel tono che spesso si sente (“l’ho fatto senza computer… quindi sono più bravo”), bensì quello ben più colto e leggero di chi ha scelto una strada rispetto all’altra perché, evidentemente, era semplicemente la migliore; a volte vediamo persone che scattano oggetti in posizione storta, per poi correggerli in Photoshop, impiegando minuti (ore) invece che secondi in fase di ripresa. Già, ci siamo impigriti nell’osservare, e in questa pigrizia paghiamo un salato biglietto che ha volte ha il sapore del “lavorare di più dopo”, oppure – drammaticamente – di accontentarsi di una qualità più bassa.

Roberta_Mascardi

Ci sono spaccati di mestiere, e tasselli che rendono il percorso della storia di questo libro ancora più interessante, perché ci invita a partecipare ai set di cui conosciamo (quasi tutti) il risultato finale, come quello leggendario del Rabarbaro Zucca, dove la modella (ora sappiamo che si chiamava Nora), cinese ma cresciuta in California, per un intero pomeriggio è rimasta perfettamente nella posizione “impossibile” della “Zeta” simbolo del brand, senza chiedere un bicchiere d’acqua o senza una pausa. Oppure, storia nella storia, che nello studio accanto al loro quando giravano lo spot, c’era Kelly LeBrock (La signora in Rosso), che girava lo spot Campari. O, ancora, ci ricorda quanto impegno poteva esserci all’epoca nel far volare un drappo rosso (una giornata intera, ventilatori, una troupe di sei persone, spille da balia in grande quantità), oppure retroscena che hanno fatto parlare davvero tanto, come la scelta delle terga più famose della pubblicità italiana, quella dello slip “Roberta”; la perfezione è arrivata da una ragazza davvero giovanissima, mandata per una settimana a “rosolarsi” priva del primario indumento sulla barca degli zii che ne proteggevano la sua privacy. Fa sorridere, nell’era in cui basta una “palata” di correzione digitale, ma che offre anche il modo per parlare di un valore che ormai non esiste davvero più: il tempo, si produce, a scapito di un’analisi e di una preparazione preventiva che poi si nota, ancora una volta, nel risultato.

Pubblicità_Mascardi

Nino Mascardi non appare, nel libro (così come nella vita) un “Eroe”, un “artista”, ma un creativo in senso assoluto, e al tempo stesso concreto. Un insegnamento che ne possiamo derivare, tutti, è che un professionista è qualcuno di cui possiamo fidarci, al quale affidare un compito, ma al tempo stesso qualcuno che prende tale compito non in modalità esecutiva, ma che ci mette la testa, il cuore, l’esperienza, e riesce a far crescere il progetto e le idee. Sono persone preziose, quelle come Nino, perché ci fanno capire e ci ricordano che non basta “fare”, ma che serve vivere quello che si fa con intensità, che se si fa un mestiere come quello del fotografo, che fonde competenze e idee, sensibilità e intuizione, allora non si tratta di lavoro, ma di un modo di vivere, e un motivo per vivere. Oggi si pensa che siamo “costretti” a lavorare 24 ore su 24, a causa della tecnologia che ci rende accessibili ovunque; ma quando quello che facciamo è quello che desideriamo fare, non ci sono confini, ma questo non toglie “pezzi di vita”, ma semplicemente unisce tutto, perché è così che la si interpreta: senza barriere, e l’assenza di barriere significa libertà.

Auto_Mascardi

Farò il possibile per convincere Nino (un orso ligure, come si definisce lui stesso) a evolvere questo libro/manoscritto in qualcosa che altri – non solo gli amici che sono nel raggio delle “amicizie conosciute” – potranno leggere. C’è troppo da scoprire, da imparare, proprio perché non ci vuole insegnare nulla. Perché i migliori insegnanti sono quelli che non si mettono in cattedra, ma che amano stare insieme alle persone, e vogliono solo raccontare storie come questa.

Comment (1)
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  • Francesco Menzera
    Mar 22nd, 2016
    Francesco Menzera says:

    Bellissimo articolo Luca! Ho finalmente avuto il piacere di poterlo leggere tutto.
    Proprio oggi, in mattinata, ho condiviso sulla mia pagina facebook una delle 15 simpatiche (e “ahimé” veritiere) immagini realizzate da Luca Masini ed Andrea Berretta ed ho trattato l’argomento “Tanto poi mi ritocchi con Photoshop, vero?”. L’improvvisazione, la mancanza di applicazione, studio, cultura, sta generando fin troppe false convinzioni, riducendo drasticamente la qualità della fotografia “di massa”…
    Un libro che acquisterò sicuramente! Grazie per il consiglio. :)

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