Quando la fotografia si aspettava…anche un’ora

Quando la fotografia si aspettava…anche un’ora

Una volta, la fotografia richiedeva attesa. Si pensava con la testa, si studiava con gli occhi, si sentiva col cuore. E poi… e poi c’era l’attesa. Chi ha più capelli bianchi ha dovuto aspettare anche giorni: si portava il rullino al negoziante sotto casa, e poi passavano giorni e giorni prima di vedere il risultato del proprio lavoro, del tanto sognato risultato. Per chi è più giovane, ma sempre con qualche capello bianco in testa, ha vissuto invece il mito della “Stampa in 1 ora”. Si andava sempre dal negoziante, che però si era attrezzato con un minilab e voilà, in un’ora si poteva tornare per ritirare la busta. In questo, si è decretato il successo dei punti di produzione presso i centri commerciali: si arrivava, si lasciava il rullino e si andava a fare la spesa; in pratica la fotografia, nell’ordine, finiva nel carrello dopo il prosciutto, i pomodori, lo yogurt, la salsiccia, l’acqua minerale e gli ovetti Kinder (che stanno sempre accanto alla cassa…).

Poi è arrivato il digitale, e ha cambiato tutto: non più attesa, non più consegna al negozio. Tutto subito, un istante dopo lo scatto, direttamente sullo schermo LCD. Nessuna sorpresa, nessuna scoperta, nessun momento di ansia: la fotografia è diventata certezza immediata, se la nipotina fotografata aveva chiuso gli occhi proprio nel fatidico momento del “click” lo si ora lo si scopre subito (e non dopo un’ora o un giorno), e si corre ai ripari.Il fatto positivo è che si elimina qualsiasi elemento di delusione, e le incertezze non si trasformano in dubbi che ci lasciano senza dormire. Lo svantaggio? Beh, quello di spezzare il momento del sogno, di perdere l’incantesimo dell’attesa. Ed è una sensazione che non è un bene, non sempre.

L’insicurezza ci porta sempre a pensare di più, prima di fare, e si vede bene in giro che molte fotografie non sono pensate a sufficienza; per di più – un fatto anch’esso ricco di sfumature positive e negative – il “non costo” rende così naturale scattare a raffica che davvero nemmeno si fa più caso a quello che si fotografa, si fa esplodere una sequenza, un “frame” andrà pur bene… Una volta, non era così: la sofferenza era troppa, la delusione troppo cocente in caso di errore: bisognava fare in modo di non sbagliare, di sapere già quello che dovevamo aspettarci dal risultato, e allora gli insegnamenti di Ansel Adams sulla pre-visualizzazione tornavano davvero utili, fondamentali.

Osservo molto attentamente le persone, quando fotografano: quando usano una compatta è pressoché  inevitabile, ma quando si usa una reflex e si usa quindi il mirino all’occhio, un secondo dopo lo scatto si potrebbe evitare, ma si abbassano gli occhi e le dita vanno subito a “verificare”, premendo gli opportuni pulsantini, se la foto “è venuta“. Non dovrebbe essere necessario: se non si capisce nell’atto dello scatto se abbiamo fatto il nostro dovere, se abbiamo portato a casa la foto perfetta, se abbiamo bisogno di una verifica, allora quella insicurezza non ci permette di fare cose davvero “grandi”. Come in Star Wars, quello che conta è sentire la forza che è in noi, non cercarla nelle conferme esterne. Come si faceva, una volta? Mica che c’erano gli schermi LCD o il tethering WiFi sul computer eppure le foto erano giuste lo stesso.

L’insicurezza ci porta sempre a pensare di più, prima di fare, e si vede bene in giro che molte fotografie non sono pensate a sufficienza

Questo post non vuole essere legato al passato: siamo amanti del futuro, non del passato, ma vorremmo portarci, in questo futuro, la cultura e le sicurezze acquisite nel passato. Due possibili soluzioni:

1) Disattiviamo la visualizzazione delle immagini appena scattate sul display LCD, è facile e indolore. Potreste anche mettere un cartoncino nero fissato con del nastro adesivo (o con qualche coperchietto di quelli che servono per proteggere il display) per bloccare ogni possibile tentazione di sbirciare il risultato. E lasciamo del tempo, prima di scaricare le immagini, il tempo necessario per far crescere tensione, speranze, aspettative per il risultato.

Fotografia Attesa 1 Ora APP
2) Divertitevi con questa app per iPhone, che permette di scattare foto che poi devono “essere sviluppate”; in pratica, non avrete la possibilità di vederle prima di un’ora. Fa sorridere (tranquilli, è gratuita, almeno il portafoglio non risentirà di questo consiglio magari banale) ma fa anche pensare. 1 ora è un tempo breve, ma molte cose in un’ora non si possono riparare, quindi bisogna pensare bene prima di decidere di “chiudere la partita”, il giudizio del tempo che separa lo scatto dalla sua visione potrebbe essere impietoso.

La poesia ha dedicato all’attesa sonetti fantastici (Il Sabato del Villaggio di Leopardi ne è solo l’esempio più famoso), la fase del corteggiamento è senz’altro uno dei momenti più ricchi di emozione, l’attesa di un figlio che cresce nella pancia della mamma rappresenta un universo che si spalanca. Le cose più belle sono quelle che attendiamo, che dobbiamo attendere. Concedere alla fotografia, ogni tanto, quando possibile, di tornare all’attesa può essere un modo per farle recuperare magia e stupore.

Comments (8)
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  • sante castignani
    Lug 6th, 2014
    sante castignani says:

    ovviamente il tutto fa simpatica nostalgia; personalmente però vinco il “senso di colpa” della immediatezza digitale pensando a tante altre arti che da sempre si svolgono in tempo reale, e per prove; pensiamo al disegno, o alla scrittura; si butta giù, si valuta, si corregge, si rifà…

    la differenza chiaramente è in molti casi le foto migliori sono il frutto di istanti irripetibili; per fortuna, aggiungerei

    grazie per lo stimolo Luca, e buona domenica a tutti

  • Piermarco Menini
    Lug 6th, 2014
    Piermarco Menini says:

    Giustissimo Luca, hai azzeccato un vero problema che affligge molto gli studenti di fotografia ma che contagia anche i fotografi. Come suggerisci tu, anch’io negli ultimi tempi, in alcune mie lezioni di ritratto, faccio mettere agli allievi lo scotch nero sul display delle reflex ed inoltre gli impedisco di buttare le foto non riuscite per aiutarli a capire meglio come procedono (una sorta di provino a contatto con le foto in sequenza, molto utile per imparare). E aggiungo che in altre lezioni faccio bloccare, sempre con lo scotch, la ghiera degli zoom su una focale fissa e li costringo a “danzare” avanti ed indietro per creare la giusta inquadratura e far capir loro l’importanza del diverso approccio rispetto alla focale usata e cercare di togliere un brutto vizio, ormai diffusissimo, di inquadrare con lo zoom invece che con le proprie gambe, snaturando la particolarità di ogni obiettivo. Grazie per il tuo contributo e buona domenica.

  • Aulo Piccardi
    Lug 6th, 2014
    Aulo Piccardi says:

    Condivido in pieno quello che hai scritto. Addirittura quando sono cominciate ad uscire le prime fotocamere digitali retrò Fuji, ho scritto a loro dell’ottima cosa, ma quello che non mi piaceva era il display, o meglio sono d’accordo sul display, ma questo dovrebbe solamente visualizzare le impostazioni del menù, ma non visualizzare le immagini scattate. Sarebbe una bella cosa! Il nostro studio fotografico stampa foto da 55 anni, ed effettivamente la constatazione oltre al fatto che non si stampano più foto, quando si stampa, si stampa di tutto, sequenze di immagini tutte uguali o simili, per la mancanza di voglia di effettuare una selezione, che farebbe risparmiare anche dei soldi ai clienti. Per non parlare delle immagini scattate con instagram, retrica, ecc.ecc., solo qualche anno fa quando si sarebbero consegnate delle stampe che sembrano alterate sovraesposte, macchiate, i clienti ce le avrebbero riconsegnate, per non pagarle o per ristamparle, oggi sembra che sono quelle più in voga. E per noi che stampiamo e correggiamo manualmente ogni stampa, ormai bisogna chiedere ai clienti, (in particolare ai giovani) se le foto vanno stampate come scattate oppure corrette. Basta! Non vorrei andare fuori tema, questo è un altro argomento, ma lo trovo correlato! Buona domenica a tutti!

  • Giovanni Salici
    Lug 6th, 2014
    Giovanni Salici says:

    Non ho i capelli bianchi, per fortuna :) ma ho visto e vissuto tutte le fasi; compresa l’attesa di 15-30 gg per un kodachrome 25-64 a seconda di chi lo trattava. Ho letto con nostalgia, un pizzico di malinconia, queste righe di oggi, anche perchè in questi giorni passati ho spesso pensato a… quei tempi.
    I tempi nei quali chi lavorava nella musica e concerti non poteva permettersi di “proporre” immagini col microfono davanti al cantante, chi lavorava nella geografia non poteve non scattatare senza assicurarsi che non vi fossero cestini di rifiuti nell’inquadratura, chi lavorava nella cronaca non poteva esimersi dall’attesa del momento nel quale si racconta un intero evento.
    Tutto questo ora lo si è perso e continuerà a perdersi.
    Purtroppo (nonostante anche fortunatamente) la fotografia oggi è cambiata molto.
    Sono però contento, in qualche modo, di aver vissuto quel periodo incerto nei risultati ma dove davvero si imparava.
    Oggi posso dire con fierezza che il mio monitor sulla camera non si illumina dopo lo scatto per mostrarmi l’immagine; l’ho disattivato: Sono fiero di non scattare a raffica se non strettamente necessario, e, attendere il momento di …magia.

    Purtroppo siamo immersi in un mondo di immagini spesso superflue, che rende questo mestiere …. un po’ paradossale.

    ciao a tutti …

    Giovanni Salici

  • carloalberto
    Lug 7th, 2014
    carloalberto says:

    Ciao Luca, rispondo alla premessa 2 del jumper del 22-giugno…Si mi sono accorto che domnica 15 non ho ricevuto il SJ……..
    e ne ho sentito la mancanza………

  • marco barsotti
    Lug 7th, 2014
    marco barsotti says:

    ..il vero piacere era con le pellicole polaroid pre-SX 70 (le “peel apart” tipo la swinger): l’attesa di un minuto circa, e poi sbirciare l’immagine mentre si separava positivo da negativo.

    E anche li si pensava prima di scattare: il costo del pack era astronomico (penso equivalente a quello delle impossible oggi, circa 2 euri/immagine).

  • alle bonicalzi
    Lug 21st, 2014
    alle bonicalzi says:

    Mi piace il tocco poetico di questo tuo post, Luca.
    Bando alla malinconia (io qualche capello bianco ce l’ho, e ne vado fiera, ma non rimpiango ‘i bei vecchi tempi’, perché c’è troppo da imparare nell’oggi e nel domani!), io non ho disattivato lo schermo LCD ma, per fortuna, non ho l’automatismo o il gesto compulsivo di guardarlo sempre e subito (e non scatto raffiche perché mi paiono un’idiozia e mi annoia molto di più il lavoro di editing di 20 immagini uguali, piuttosto che l’attesa di UN attimo significativo!)…
    Detto ciò, sono invece piuttosto compulsiva nello scaricare le schede, visionare, editare.
    Ma.
    Nelle ultime due settimane (ero in vacanza, beata me, lo so!), mi sono imposta uno stop: non allo scatto (anzi! Mi ero data due compiti specifici piuttosto articolati che ora non sto qui a dirvi), ma alla visualizzazione, scarico, editing.
    Risultato?
    Solo alla fine (pochi giorni fa), ho scaricato il centinaio di immagini scattate: ciascuna era stata pensata, cercata, costruita, voluta. Ciascuna!
    Non mi succedeva da tempo.
    Non tutte sono ciò che desideravo, certo. Non tutte sono super-significative, ovvio.
    Ma c’è davvero tanto ‘buon materiale’, in una proporzione altissima rispetto allo scattato.
    E poi quella sensazione…
    Quel dolcissimo e frizzante misto di attesa e meraviglia!
    Impagabile.
    Davvero.
    Una boccata di ossigeno, per me (e, in proiezione, per il mio lavoro futuro).

    Da provare!
    Parola mia.
    Ciaoooo
    alle

  • giorgio franciosini
    Lug 21st, 2014
    giorgio franciosini says:

    Ben trovati a tutti
    A mio avviso la differenza sostanziale fra il secolo appena conclusosi e l’oggi è il differente rapporto che le tecnologie hanno imposto a noi tutti con il tempo e non ultima, nella dimensione sociale ed interpersonale.
    Lungi da me la tipica nostalgia (nella parola c’è il verbo greco algo che a che a fare con il soffrire) del vecchio, ho 56 anni e oggi da un giovane posso essere tranquillamente considerato un dinosauro.
    Lungi da me la demonizzazione del Mac dal quale scrivo o degli ordigni digitali dei quali mi avvalgo con piacere, a monte rimane sempre la necessità del pensare in ogni gesto del quotidiano e del non farsi prendere dalla foia della fretta sobillata e supportata da molti pericolosi congegni che se non dominati ci dominano.
    Ricordo quando un vecchio fotografo, avevo poco più di 20 anni, della ANSA mi disse: una foto è poca tre sono troppe, all’inizio non compresi poi mi si svelò l’arcano: ci vuole la testa e non solo la mano che mette a fuoco.
    GF

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