Fotografi senza fotocamera: saranno sufficienti occhi e testa?

Fotografi senza fotocamera: saranno sufficienti occhi e testa?

fotografi senza fotocamera - lenti a contatto futuro

Sony, ma anche Google, Samsung e forse anche altri ci stanno pensando seriamente: delle lenti a contatto che permettono di registrare sia delle fotografie che dei video. Ovvio che siamo solo all’inizio di questa innovazione, non scendiamo in concetti puramente tecnici (tipo: le immagini registrate – di sicuro sappiamo che verranno memorizzate direttamente nella lente a contatto – come potranno essere scaricate? Verrà sviluppato un “lettore” di lenti a contatto? LOL): quello che ci interessa capire è se può sopravvivere il mestiere del fotografo se, di colpo, dovesse sparire lo strumento tra le mani di chi si professa “fotografo”.

 

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Una volta – qualcuno direbbe “bei tempi” – il fotografo si distingueva perché era l’unico (o tra i pochi eletti) ad avere un apparecchio fotografico, poi ci si è messo quel tipo, come si chiamava? Ahh… si: George Eastman, che un bel giorno ha pensato di creare una fotocamera per tutti, quella che è stata pubblicizzata dallo slogan: “You push the button, we do the rest”.

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Era il 1889, ben centoventotto anni fa, e da quel momento tutto è cambiato, non serviva più specializzazione, competenza e nemmeno grandi investimenti per fare delle fotografie. Chi oggi mette alla gogna gli smartphone o, più genericamente, il digitale non ha capito che la colpa è del papà della Kodak e che si tratta di una storia che è stata scritta prima che tutti coloro che polemizzano o si rammaricano fossero nati. Ancor peggio, quando quella bella ragazzina chiamata Jennifer (non la Lopez…) a tre anni mise in crisi il suo papà; Edwin Land, che pur era un inventore di quelli geniali, chiedendogli di vedere la foto che era stata appena scattata, durante una vacanza a Santa Fé. Era il 1943 e quel giorno non è nata solo l’idea della fotografia instantanea (che formalmente è diventata realtà partire dal 1948 con la presentazione della prima macchina, la Polaroid Model 95), è nata anche quella del “digitale” (e seminò la fine della fotografia inventata da Eastman: ora le persone facevano click e poi non c’era più nessun “NOI” che avrebbe dovuto fare “il resto”).

Tutte queste evoluzioni, invenzioni, modifiche, hanno trasformato quello che è la cultura e l’utilizzo della fotografia ma non sono evoluzioni recenti: la fotografia per tutti è arrivata nel 1889; il “digitale” (la foto pronta subito, poco importa se chimica come Polaroid o fatta di pixel) nel 1948 con la prima Polaroid. Tutto il resto è semplice evoluzione, nella storia c’è la matrice di un destino che i fotografi semplicemente non sono stati in grado di cogliere per tempo, e ora si sentono superati e messi in disparte dal fatto che:

Tutti possono fare foto, con questi maledetti smartphone e maledetto il digitale, Photoshop e Internet che hanno rotto degli schemi che mi permettevano di vendere il mio prodotto. (Cit: un fotografo qualsiasi che si sente minacciato)

Le cartine al tornasole, gli avvisi, gli allarmi non sono stati letti nel modo giusto e in tempo: dai fotografi, ma anche (soprattutto) dalle aziende del settore della fotografia, che ormai sono in gran parte dei morti che ancora camminano, zombie che vagano senza meta per deserti senza futuro. Si salvano in pochi, ma oggi chi guadagna davvero con la fotografia sono le aziende, nate in altri mondi e società di servizi digitali legati al web e specialmente ai social, che stanno determinando e disegnando i nuovi confini. Il problema, ed è questa la questione, è che finora c’era una scappatoia: il fotografo – professionista, appassionato, quello “che ci mette impegno” – non era colui che faceva foto, ma colui che impugnava una fotocamera. Nel futuro, sembra, non sarà più così.

Il passaggio tra un’Hasselblad medio formato ad una Nikon F (1,2,3,4,5,6…) ad una autofocus Canon EOS, e poi ad una digitale (Sony Mavica o qualsiasi altra, vi ricordate la Canon ION?) e poi le mirroless, i primi cellulari Nokia, Sony Ericsson con modulo fotocamera, poi l’iPhone e così via hanno mantenuto e garantito comunque un ruolo, quello di essere uno strumento per scattare una fotografia. Cambiava la tecnologia, le forme, i costi, gli output, ma fotografo era comunque quello che sfoderava un apparecchio e faceva “click”. Per sembrare ancora più “fotografo” poi sono nati altri stratagemmi visivi (i gilet multitasche, gli obiettivi “lunghi” da mettere in bella evidenza, magari montati sulla fotocamera appoggiata sulla pancia e tenuta dalla cinghia sponsorizzata), ma cosa succede se domani non avremo nemmeno più una fotocamera da esporre, che possa dimostrare al mondo il nostro “ruolo”?

Ovviamente, si tratta di provocazione: per noi fotografare non è altro che pensare, interpretare, selezionare, inquadrare, aggiungere e sottrarre contenuti, raccontare emozioni, storie o anche “solo” descrivere qualcosa. In effetti e al contrario, come molti altri fotografi, abbiamo sognato di liberarci di questo fardello, anziché esporlo. Molti grandi fotografi preferiscono usare fotocamere di piccole dimensioni, silenziose, non evidenti, è stata la fortuna di Leica (così meravigliosamente silenziosa e piccola, per i canoni dell’epoca) e di eccezionali narratori di storie fotografiche, alla Cartier-Bresson, che hanno letteralmente “rubato” pezzi di storia, cercando di essere il più invisibili possibile: chi cattura il mondo quasi mai desidera essere “scoperto”. Poter scattare una foto semplicemente guardando è un miracolo che cambia davvero tutto, in certi ambiti della fotografia, specialmente quella street, ma del fotogiornalismo in generale, anche se creeranno anche delle problematiche sociali non indifferenti, perché ci sarà tensione se verremo guardati da qualcuno/a, potremmo credere (e forse sarà così) di essere ripresi. Un po’ come i fotografi che, visitando luoghi selvaggi, spaventavano gli indigeni che avevano paura di farsi rubare l’anima dalla quella “macchina diabolica”.

Fotografare anche senza fotocamera, ma con gli occhi e specialmente con la testa…

Fotografare significherà usare la testa, decidere cosa “tenere” e cosa “buttare via”, gli occhi diventeranno il filtro tra determinare quello che si vuole chiamare passato e quello che si vuole preservare nel futuro; il ruolo stesso della fotografia cambierebbe, diventerebbe una specie di archivio visuale, un sostituto della stessa memoria, del cervello, sarà un flusso quasi continuo di dati visivi, eventualmente da recuperare andando a ritroso, una “macchina del tempo” che potrebbe mostrarci quello che abbiamo visto, nello stesso posto, un giorno prima, un anno prima, addirittura quando eravamo bambini. Non (con)terremo più nella nostra memoria (così limitata, al momento attuale) solo le cose che ci hanno davvero emozionato o sconvolto o fatto ridere o piangere… ma tutto quello che vogliamo e vediamo. Tutto quello che passerà davanti ai nostri occhi potrà diventare un dato immagazzinato, e forse quindi non solo si perderà il “ruolo” del fotografo perché non sarà più “riconoscibile” in quanto non dotato di “macchina”, ma addirittura sarà finita un’era fatta di ricordi, diventeremo macchine, registreremo tutto per non dimenticare, archivieremo tutto in degli immensi hard disk, tanto i costi scendono ogni giorno (il prezzo di 1MB sceso dai 2.000 dollari del 1960 ai circa 0,00005 dollari), “dimenticando” che anche il “dimenticare” fa parte della nostra psiche e del nostro essere “umani”.

In questo grande turbinio di evoluzione, per assurdo, è proprio il ruolo del fotografo (quello vero, non quello che “registra cose”) che crescerà: nel magma delle informazioni visive praticamente infinite, ed è già così, ma sarà ancora peggio con queste innovazioni, si otterrà un overloading di “ricordi” e si vorrà andare a selezionare quello che davvero conta. E il ruolo di chi racconta e sintetizza per immagini (così come per parole, o altri mezzi di narrazione) crescerà di importanza. Non servirà più nessuno per “catturare” qualcosa, perché chiunque presente in una determinata situazione avrà un totale archivio dell’accaduto. Ma si rafforzerà il ruolo di chi lo farà non per “mostrare”, e nemmeno per “ricordare”, bensì per trasferire emozioni che non avranno nella “registrazione dei fatti” il punto di forza, ma sarà qualcosa di intangibile, e che non si “riproduce” semplicemente inquadrando e facendo click. Sarà un futuro entusiasmante, un ritorno al valore essenziale, artistico, emozionale. La brutta notizia è che bisognerà essere davvero tanto bravi… per gli altri non ci sarà spazio.

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