I gattini e il futuro della foto professionale

I gattini e il futuro della foto professionale

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Altro che foto di gattini! Qualche settimana fa, si sono svolti a Roma gli Stati Generali della Fotografia. Molti interventi, che immaginiamo siano stati più seguiti dagli “operatori” dell’ambito politico, giornalistico e culturale, molto meno dai “fotografi”, che tendono ad aggregarsi per fare polemica, molto meno per capire e crescere (esclusi pochi). In pratica, il dialogo passa e si propaga laddove c’è meno bisogno, dove ci si parla addosso, dove si procede con l’arma del name dropping (citare nomi per dimostrare di essere colti). Sebbene queste “occasioni” siano di solito più pretestuose che non concretamente portatrici di argomentazioni utili, ci sono stati interventi interessanti, che dovrebbero fare riflettere, perché non fare come è ormai una bella abitudine che uso, ovvero salvare i video di YouTube in formato audio e ascoltarmeli invece che “vederli” (abbiamo meno tempo per gli occhi, di più per le orecchie), il fatto positivo è che sul sito del Ministero dei Beni Culturali si trovano, in particolare vi consigliamo questo (sono oltre tre ore, per questo ha senso trovare una modalità fruibile nel caos della nostra vita, magari mentre guidate, oppure camminate o viaggiate).

FOTO: @ ANSA/ANGELO CARCONI
FOTO: @ ANSA/ANGELO CARCONI

Non vi vogliamo togliere l’approfondimento, ma lavorare su binari complementari, che sono stati trattati in particolare da Renata Ferri (Picture Editor del settimanale femminile del Corriere della Sera Io Donna e di AMICA, mensile di moda di Rcs Mediagroup) che ha parlato della tematica della fotografia connessa al suo (e anche nostro) mondo: quello dell’editoria. Interessante (e confortante) che il percorso e il pensiero di questa importante professionista del settore abbiano individuato spunti che sono il terreno di battaglia sul quale stiamo combattendo da tanto: quello di un mondo dell’informazione, poco importa se testuale o visuale, che può trovare un futuro solo nella qualità. E dove la parola “qualità” non può che essere tradotta in termini concreti, non certo in numero di pixel o – come è la moda del periodo – in dimensioni dei sensori. Per qualità dell’informazione significa dare una risposta di approfondimento ad un pubblico che è non solo disposto a richiederla, ma che la pretende ed è disposto a pagarla.

Nel suo intervento, Renata cita uno studio del New York Times, recentissimo, dove il grande gruppo editoriale si interroga su quali sono le azioni per arrivare al 2020 con un panorama informativo virtuoso, ed è proprio oggetto di una lezione che teniamo in Università ai nostri studenti in odore di Laurea, focalizzandoci sulla tematica essenziale, quella che dice che il contenuto visuale è sempre più fondamentale e deve essere sempre più “nativo digitale” e mix tra contenuti/argomenti e immagini, che non possono e non devono ovviamente essere visti solo come immagini fisse. Ma c’è di più, perché la qualità non può essere solo un obiettivo di risultato, ma anche di processo e di impegno, quindi sempre il NYT ha dichiarato di avere deciso di iniziare a pagare più del doppio della tariffa attuale (450 dollari al posto del precedente importo base di 200 dollari) per la giornata dei fotografi che lavorano per loro.

E’ un segno evidente: ormai è chiaro: non è più la pubblicità che farà vivere le riviste e l’informazione, ma i lettori, e quindi la capacità di essere davvero uno spazio di contenuti, creare fidelizzazione (che si è persa con l’approccio da “Motore di ricerca” o da “social scrolling”) deve tornare ad essere il centro di un progetto editoriale serio, concreto, impegnato. Smettiamola di dire che le persone non leggono, perché leggono molto di più di qualsiasi altra era storica (e quelli che leggono molto e approfondiscono sono l’unica categoria interessata a pagare), e non diciamo che ora tutta la fotografia è diventata quella dei “gattini” (perché come giustamente racconta Michele Smargiassi , c’è molto di più dietro questo). Questa ricerca di un progetto editoriale non riguarda solo chi si occupa di “editoria”, ma tutti coloro che sprecano parole ad effetto (storytelling, reportage d’autore…) per giustificare il loro lavoro e compenso. Fotografi di matrimonio, fotogiornalisti di cronaca, di moda, di paesaggio… le foto esposte sulle pareti bianche o i “fotolibri” non hanno più un ruolo nella cultura visiva mondiale, se non in ambiti così ristretti che sono già occupati dai “soliti nomi” (a torto o a ragione), c’è un universo da approfondire e da dominare, che è l’universo dove tutti si incontrano, nelle piazze e nelle autostrade digitali, ma servono progetti (appunto… li chiamiamo “editoriali”) che trovano motivi, ma anche sostenibilità.

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Di questo (e non solo) parleremo al nostro camp che è già super sold OUT per la prima giornata del 27/4, e che si sta riempendo anche per la seconda data del 4 maggio. Non parleremo di “trucchi” da “digital markettari”, ma di come trattare l’immagine (fissa, in movimento, video… qualche giorno fa Sony ha presentato una nuova fotocamera professionale in grado di scattare 20 fps… cosa cambia rispetto al video? Esiste una differenza, se non distributiva? Diamine, abbiamo la rivoluzione davanti ai nostri occhi, se non ci credete andate a vedere a Villa Panza a Varese i video ritratti di Robert Wilson). Parleremo di linguaggio, di tendenze, di sostenibilità di progetti che hanno nel monitor il “media”, spiegando che poi un monitor è diverso dall’altro (non solo “tecnicamente”: un contenuto su smartphone ha un linguaggio diverso rispetto a quello di un computer, di un tablet!). E poi spiegheremo come tecnicamente fare cose – che non devono essere effetti speciali, ma contenuto e progetto… insistiamo!) . Volete far parte di un futuro di qualità? Iniziate a guardare oltre, e a pensare a progetti concreti e credibili, importanti: vi aspettiamo al nostro Camp, che non può certo essere un punto di arrivo, ma un bello stimolo per partire (ma, come detto… si stanno chiudendo le iscrizioni della seconda giornata, e no… non ce ne sarà una terza!).

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