Quando la realtà aumentata è “analogica” (e il digitale è invece la normalità)

Quando la realtà aumentata è “analogica” (e il digitale è invece la normalità)

Monica Silva

In queste settimane, con l’arrivo della primavera, sono tante le iniziative che si sviluppano in giro per l’Italia. Alcune di queste iniziative ci hanno chiesto di partecipare e quindi siamo “in tour”: a parlare con fotografi professionisti, ad appassionati di immagine e che desiderano entrare in questo “mestiere”, oppure per approfondire tematiche legate alla cultura digitale, all’editoria digitale (e non solo). Quello che è un comune denominatore, di tutte queste iniziative, è la quantità di persone che vengono e partecipano. Sono tanti, tantissimi: l’impressione è che siano mediamente di più rispetto che in passato.

In un mondo che diventa sempre più digitale, c’è l’impressione di una esigenza di relazione fisica sempre più forte. Sia di incontri “veri”, sia di oggetti veri. Che sia una nuova “primavera” dove si inizia ad uscire dagli schermi, dove si spegne lo smartphone e si muovono più le gambe. Abbiamo l’impressione che il concetto sia più profondo, complesso, elaborato, e proviamo – come spesso accade – ad usare questo spazio per elaborare un pensiero che non è ancora chiaro, neanche a noi.

Realtà e virtualità aumentata

L’impressione è che si sta completando un cerchio evolutivo. Il digitale è diventato il “normale”, tutto il resto è “straordinario”, e questo ci deve far riflettere. In questi giorni, Insta, una delle società più dinamiche ed innovative nel settore della ripresa 360/VR ha ricevuto un fondo di investimento pari a 30 milioni di dollari per sviluppare nuovi prodotti e nuove tecnologie, e si prevede che l’asse di interesse di questa tecnologia si allargherà sempre più in ambito amatoriale, e le masse degli utenti sempre più saranno coinvolte e si incontreranno sempre più in un mondo “virtuale”. E’ anche evidente che tutti gli occhi sono ormai puntati verso la nuova evoluzione della realtà aumentata, si vocifera che nel 2020 usciranno degli occhiali (o simili, di sicuro degli indossabili) di Apple e di altri che uniranno la potenza degli ultimi smartphone collegati via rete wireless (chissà se sarà wifi o bluetooth e di quale generazione/potenzialità) per poter essere leggeri ma al tempo in grado di offrirci una realtà aumentata di grande effetto realistico, con risoluzioni da addirittura 8K per ogni occhio. Quando accadrà. – ed è ovvio che sarà solo “l’inizio” – avremo una realtà aumentata che diventerà “normale” e qualcosa che percepiremo come l’alternativa: una realtà aumentata fatta di sensazioni reali.

Non dobbiamo guardare molto oltre: ormai le persone vivono online, ad esclusione di piccoli momenti alternativi. La proiezione dei nostri bisogni, anche dei nostri sentimenti, è entrato dentro lo schermo, ed è li che viviamo. Sembra un discorso da vecchi (e forse lo è), ma non ne stiamo facendo un giudizio o una polemica, solo percepire i fatti, e cercare di trovare delle linee guida. Se ci occupiamo di futuro, di comunicazione, ma anche del capire la società (e di conseguenza l’economia, la politica e tutto quello che ci circonda), allora dobbiamo capire come vivere queste due realtà, come integrarle nel nostro quotidiano e nella nostra prospettiva, lavorativa e di vita. Se milioni (tanti milioni) di persone trovano una maggiore sintonia con la realtà “digitale”, forse dobbiamo metterci in una posizione di criticare tutti? Sono tutti impazziti? Probabilmente sono (siamo) cambiati, e non è detto che tutto sia verso il peggio. Siamo più connessi, più informati, abbiamo più scelte, più opportunità., non abbiamo barriere. Possiamo apparire secondo quello che pensiamo sia il lato migliore di noi (i selfie ne sono un esempio: sappiamo qual è la nostra espressione migliore, e poi c’è Photoshop che risolve qualsiasi problema). Una bella frase presa da un libro/magazine SBAM realizzato da Jovanotti (già… quello che canta), e che vi consiglio di avere proponeva questa visione:

La realtà è molto diversa, l’umanità in generale è molto meglio di come si manifesta in rete almeno la mia esperienza diretta lo dimostra. Internet, la rete. E’ come se ci avessero messo a disposizione un’astronave e molti hanno deciso di usarne solo il bagno per cagare, ignorando che con le astronavi si possono raggiungere i confini della galassia, con un po’ di pratica e di attenzione. Entri nell’Enterprise e ti chiedi dov’è il bagno, e poi non ti muovi da lì (SBAM – Jovanotti)

Imparare a vivere nel mondo digitale, quello che “ormai è quello normale”, quello “vero”, è fondamentale, e dobbiamo anche trovare il modo per non essere ospiti privi di esperienza e di coscienza, per farlo vi consiglio di iscrivervi a questa newsletter di Carola Frediani, che si chiama Guerre di Rete che propone tematiche che offrono uno spaccato importante e ben analizzato di quello che succede nel “sottosuolo” del mondo digitale, a volte (troppo spesso) a nostra insaputa.

Al tempo stesso, pensiamo che sarà sempre più affascinante credere e promuovere un recupero di quella “realtà alternativa” (sempre più alternativa, potenziata, aumentata) che riguarda la fisicità delle relazioni, l’incontro in luoghi “veri” (cosa è reale e cosa virtuale?), un confronto e un avvicinamento di opinioni basato non sugli algoritmi, un dialogo simmetrico non filtrato da schermi o da messaggi vocali. E questo non per “tornare all’umanità”, perché non abbiamo mai smesso (e mai smetteremo) di essere umani, ma anzi le titubanze e il cadere in buchi neri è un tipico approccio e pericolo dell’essere umano. Trovare un equilibrio tra queste sempre più sottili separazioni tra i nostri mondi, dentro e fuori dagli schermi, deve semplicemente farci capire nitidamente quello che sentiamo con i diversi “sensori” che abbiamo a disposizione e che si potenziano sempre di più.

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